Roma - Uscendo a tarda sera dagli studi Rai, Matteo Renzi lo aveva preannunciato: «Domani su questa storia assurda della giustificazione per il ballottaggio gli facciamo uno scherzetto».
Lo «scherzetto», ieri, ha provocato l'effetto di una carica di tritolo, nel già nervosissimo Pd, spaventato dagli effetti del match tv: una pagina pubblicitaria su Corriere, Stampa e Quotidiano Nazionale per invitare i cittadini a iscriversi «via email» (come aveva garantito mercoledì il responsabile organizzativo Stumpo) per poter votare al ballottaggio di domenica, con rinvio a un sito (www.domenicavoto.it) per farlo.
Apriti cielo: ai bersaniani (mentre Bersani piange da Vespa sul filmato dei genitori col suo parroco) saltano i nervi. Sui comitati provinciali Pd iniziano a piovere migliaia di richieste (50mila in poche ore), il povero Luigi Berlinguer, presidente dei garanti, viene spedito in tv a denunciare, con aria stravolta, che è in atto un tentativo renziano di «scatenare l'inferno». Nel frattempo le regole vengono cambiate in corsa e compare la «delibera n° 26», che in pratica dice che per chiunque si iscriva ora vale la regola del «silenzio-non assenso», ossia la bocciatura automatica. Contro Renzi gli altri quattro candidati annunciano un esposto per aver «violato il codice di comportamento» che esclude pubblicità a pagamento dei candidati, via giornali, tv o manifesti. «Non abbiamo violato un bel nulla - replica Lino Paganelli, coordinatore renziano - perché il regolamento vietava la pubblicità dei singoli candidati, e in quelle pagine non c'era riferimento a Renzi, solo un invito a votare». Intanto in rete iniziano a girare immagini di una pubblicità acquistata giorni fa sulla Stampa dal comitato Bersani, e foto di manifesti affissi (abusivamente) in giro per le città per invitare a «votare Bersani per cambiare l'Italia». Anche Vendola si mobilita pro-segretario e fa scendere in campo i sindaci Pisapia, Zedda e Doria ad appoggiarlo. Il partito si blinda: «Se si aprissero a tutti le urne, la partita si ribalterebbe», ammette un dirigente bersaniano. I sondaggi post-tv parlano chiaro: sul sito del Fatto, ad esempio, Renzi stravince.
Sul sindaco piovono scomuniche e anatemi, lui invita alla calma: «Non meritiamo questo atteggiamento polemico e violento, non abbiamo violato alcuna regola». Che la partita sia improba lo sa: «Vincere è difficilissimo, se non possono votare persone nuove». La sconfitta la mette in conto: «Io ci ho provato, e abbiamo già fatto un mezzo miracolo. E il Pd mi dovrebbe fare un monumento, perché quando ho iniziato stava al 24%». Conta anche «come» si perde: «Sotto il 30% sarebbe una débâcle, il 40% è un successo». Domenica aspetterà i risultati a Firenze, «e se perdo, a Roma non mi vedranno per un pezzo. Dovrà essere Bersani a cercarmi, se vuole, e da quel che proporrà si capirà se vuole fare una cosa nuova e liberarsi dei vecchi retaggi o no. Io non chiedo nulla e aspetto».
E a chi gli chiede perché non si mette in proprio, visto il consenso personale, magari guardando al centrodestra, replica secco: «Da bambino i miei idoli erano Jfk e Luther King, le pare che io possa andare a destra? E guardi che non mi son mancate né le occasioni né le offerte: no, grazie».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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