Bersani si scatena contro Monti «Vuole smontare il bipolarismo»

Bersani si scatena contro Monti «Vuole smontare il bipolarismo»

RomaForse c'era e dormiva, forse non dormiva e ha soltanto atteso il momento più propizio per sferrare il primo attacco al (fino a ier l'altro) amatissimo Monti. Nel giorno dei risultati delle parlamentarie, circa un milione di persone ai seggi, Pier Luigi Bersani prende le distanze da «questa roba del centro che nasce nel chiuso di una stanza, una cosa che parte già vecchia, riti superati...».
La differenza - sottintesa - sta tutta nel rito democratico della partecipazione che ha ridato smalto al partito, riverniciando l'immagine opaca di una nomenklatura sempre uguale a se stessa, e mettendo al suo posto il «popolo» delle primarie. Sostituzione magari non proprio del tutto veritiera e legittima, ma alquanto fruttifera in termini di comunicazione (i sondaggi lo confermano). È da questo ragionamento che il leader del Pd parte per mettere fuorigioco il nascente arcipelago centrista del premier. Nel quale ruolo pubblico e nuova attività «privata» fatalmente tendono a sovrapporsi. Tanto che Monti avrebbe in extremis dissuaso il ministro dell'Interno Cancellieri da una candidatura certa e che una riservata protesta del Pd ha fatto cadere. Essendo la Cancellieri di fatto il vertice della macchina elettorale che si è messa in moto.
Ma il «conflitto d'interessi» del Prof ha molti altri aspetti, magari meno lampanti, che portano Bersani a intingere le parole nel veleno. «Bisogna essere molto rigorosi nella distinzione tra politica e istituzioni - dice - poi arriveremo al merito, per sapere che cosa pensa Monti dei diritti civili, cosa pensa degli esodati...». Si lascia così intuire che nulla sarà risparmiato all'armata di Monti e ai deboli punti programmatici centristi, neppure le retoriche (ma insidiose) domande: «Basta leader solitari, e poi Monti da che parte sta? Vuol smontare il bipolarismo? Non parla dei temi etici perché tenere assieme Riccardi e Montezemolo è forse più difficile che tenere assieme Bersani e Vendola?».
Prima di ogni altra considerazione, però, per il Pd è necessaria la correttezza istituzionale. C'è, per esempio, l'eclatante caso Bondi: nel governo, consigliere per il taglio della spesa; nella formazione delle liste, supervisore delle candidature. «Io ho grandissima stima di Bondi e grandissimo rispetto - dice ancora il leader - però Bondi sta facendo un mestiere, non può farne un altro». Bersani non cita Federico Toniato, il giovane consigliere «ombra» proiettato dal Senato a vicesegretario generale di Palazzo Chigi, presente persino nella riunione al convento delle suore di Sion a Monteverde. Ma il «caso» viene segnalato con grande sdegno. Sgrammaticature, sbavature, «clamorosa caduta di stile», il segno che il Prof, avrebbe sbottato Bersani, affronta «il piano della correttezza istituzionale un tanto al chilo».
Come dare torto al capo del Botteghino? Eppure Pier Ferdinando Casini, dovere d'ufficio, cerca di fare da scudo e accusa il Pd di «doppia morale». «Quando Piero Grasso, procuratore nazionale Antimafia - sostiene - si candida con il Pd risponde a un “imperativo morale”. Quando Enrico Bondi accetta di contribuire a un lavoro di accertamento sulla trasparenza delle candidature commette un “vulnus istituzionale”...». Il capo dell'Udc ne trae la (ovvia, più che «amara» come la definisce) riflessione: «Il Pd non vuole un'area centrista competitiva e scomoda perché preferisce il vecchio ed eterno scontro con Berlusconi, diventato avversario di comodo. Le parole di Bersani mi convincono che siamo sulla strada giusta».

Giusta o no, pare avere gioco facile l'accusa piddina di poca «lucidità» rivolta a Casini: Bondi e Grasso non sono comparabili, e il procuratore d'ora in poi è comunque sospeso dalle funzioni. Mentre Bondi, insiste il Pd, «dalla spending review della collettività è passato alla review per una parte». Un taglio netto, allora, sarebbe preferibile.

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