Filiberto Palumbo: "Il Senato è sovrano: in caso di condanna è libero di scegliere"

Il penalista Palumbo, laico del Csm, non ha dubbi sull'applicazione al Cavaliere della legge Severino: "Norma vincolante solo in caso di nuove elezioni"

Filiberto Palumbo, avvocato penalista e membro laico del Csm per il Pdl, non ha dubbi: «Il Senato deve decidere in piena autonomia se la condanna definitiva di Silvio Berlusconi a quattro anni per frode fiscale debba comportare o no la decadenza dal suo ruolo di senatore. La legge Severino non ha un effetto vincolante, come invece sarebbe in caso di una candidatura a nuove elezioni».

Perché dice questo, avvocato?

«Perché la nostra Costituzione, all'articolo 66, prevede che “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. Il significato è del tutto chiaro: bisogna evitate la sovrapposizione tra i poteri dello Stato ed anche ogni interferenza tra i medesimi. Questo costituisce un insuperabile principio di diritto».

E qual è la conseguenza pratica di questo?

«La conseguenza appunto è che una sentenza di condanna non può avere effetto vincolante sulla decisione che la Camera di appartenenza andrà a prendere, ciò proprio nel rispetto del dettato di cui all'articolo 66 della Costituzione. Se così fosse, sarebbe chiara l'incostituzionalità della legge Severino, quantomeno se riferita alla cosiddetta incandidabilità successiva».

Quindi lei ritiene che solo al momento di nuove elezioni la norma possa entrare in gioco?

«Si. A mio avviso, l'effetto vincolante della sentenza di condanna lo si può ravvisare unicamente con riferimento ai prerequisiti della candidabilità, tra i quali deve emergere a chiare lettere quello di non avere riportato condanne penali nei termini di cui all'articolo 1 della legge Severino. Diverso è il caso, ed è quello che qui rileva, di sentenza di condanna intervenuta nel corso del mandato parlamentare. Qui sarebbe perlomeno irragionevole pensare che la legge Severino, che pur richiama l'articolo 66 della Costituzione, abbia inteso spogliare la Camera di appartenenza del potere/dovere di valutare l'opportunità che un proprio componente, per quanto raggiunto da una sentenza di condanna, rimanga nel suo ruolo di parlamentare».

Nel caso specifico, dunque, la scelta del Senato non sarebbe obbligata?

«È mia opinione che, in taluni casi,

si impone la verifica dell'interesse pubblico nella sua attualità. È del tutto possibile che, pur a fronte di una condanna penale, permanga l'interesse dell'organo collegiale a conservare la presenza di quel parlamentare».

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