Roma - Riprende, inesorabile, la corsa del debito pubblico. Dopo la pausa di dicembre, il fardello riprende ad appesantirsi: secondo le cifre rese note dalla Banca d'Italia, in gennaio lo stock è arrivato a toccare i 2.089,5 miliardi, oltre venti miliardi in più rispetto alla cifra registrata alla fine dell'anno scorso. È l'ennesimo record, che ormai non fa più notizia. Dal gennaio del 2013 la cifra del nostro debito pubblico ha superato la quota di 2.000 miliardi di euro e continua, mese dopo mese, ad aumentare. Ad appesantire la cifra anche il pagamento dei debiti arretrati della Pubblica amministrazione (che però non hanno visto un euro). Si calcola che ogni italiano, dai neonati ai centenari, si carichi sulle spalle un debito di 35mila euro. Responsabili di questo nuovo incremento, per la massima parte le amministrazioni centrali dello Stato (+18,9 miliardi) mentre il debito delle amministrazioni locali è aumentato di 1 miliardo e mezzo, e quello degli enti previdenziali è rimasto sostanzialmente invariato. Invariate, sempre in gennaio, anche le entrate fiscali: sono stati incassati 30 miliardi e 97 milioni di euro contro i 30,75 miliardi del gennaio 2013. Con il debito che sale e il prodotto interno lordo che scende (lo scorso anno -1,9%), è inevitabile che il rapporto debito-Pil continui a peggiorare. Secondo le stime della Commissione europea, quest'anno arriverà a toccare il 133,7%. È questo il «problema dei problemi» per il governo guidato dal neo premier Matteo Renzi. Col debito pubblico a questi livelli stellari diventa difficilissimo negoziare con Bruxelles qualsiasi deroga o ammorbidimento rispetto al percorso di riduzione del deficit. La Commissione ha già giudicato «insufficiente» la manovra 2014 del governo Letta, ed ha collocato l'Italia nella lista dei Paesi «con squilibri eccessivi», insieme con Croazia e Slovenia. All'opposto, la Spagna è uscita di recente dalla lista nera.
Tutte queste cifre sul debito si fanno ancora più preoccupanti alla luce di quanto succederà a partire dalla metà dell'anno venturo. Il 1º luglio 2015 entra infatti in vigore il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell'Unione economica e monetaria», conosciuto comunemente come fiscal compact. Il Trattato prevede l'impegno ad avere bilanci pubblici «in equilibrio». Il deficit strutturale non deve superare lo 0,50% del Pil nei Paesi dove il debito è superiore al 60% del prodotto - è il caso dell'Italia - e ogni Stato garantisce correzioni automatiche quando non raggiunge gli obiettivi di bilancio. La Corte di giustizia europea verificherà i comportamenti dei Paesi membri dell'Unione; se il giudizio sarà negativo potranno essere comminate sanzioni sino allo 0,1% del Pil. Per l'Italia questo significa che il debito pubblico dovrà essere ridotto mediamente di un ventesimo all'anno per la parte eccedente il limite del 60%. L'alternativa è che il Paese riprenda a crescere. Ma le previsioni sono tutt'altro che rosee: il governo si prepara a correggere al ribasso nel nuovo Def (il Documento di economia e finanza) la stima dell'1,1% per quest'anno ipotizzata finora. La Commissione parla di una crescita limitata allo 0,6%. Dello stesso avviso l'agenzia di rating Fitch.
Dopo due anni consecutivi di grave recessione, «la ripresa in Italia sarà stagnante», si legge in un rapporto dell'agenzia. Le cose dovrebbero andare un po' meglio nel 2015, con un tasso di crescita all'1%, e con un tasso di disoccupazione in lieve calo dopo il picco negativo di quest'anno (12,9%).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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