Pulizia, pulizia, pulizia. Volano le scope di Roberto Maroni. Si dimettono i leghisti indagati, sospettati, antipatici, raccomandati o semplicemente terroni. Fioccano avvisi di garanzia e arresti su partiti vecchi e nuovi, grandi e piccoli, vivi e defunti. Lega, Pd, Pdl, Margherita, Udc, Sinistra e libertà, Italia dei valori. Sibilano i coltelli indirizzati a chi ha qualche guaio con la giustizia, o magari è amico di un inguaiato, o soltanto amico dell’amico.Le ceste si riempiono di teste tagliate, e il popolo vuole altro sangue. È uno spettacolo tremendo. Ma c’è di peggio. Ed è l’ipocrisia dei due pesi e due misure. Degli indagati «più indagati» degli altri, come i maiali di Orwell nella Fattoria degli animali .Dell’indagato che si tiene stretto il suo posto ma pretende che altri non facciano altrettanto, anche se il loro nome non compare nei fascicoli giudiziari. Passata, o quasi, la tempesta padana, ora è nuovamente il turno di Roberto Formigoni.
Il Celeste non è indagato. Lo sono una decina di consiglieri regionali di numerosi partiti, di maggioranza e di opposizione, e qualche suo conoscente è in carcere per vicende legate alla sanità lombarda. Eppure su Formigoni convergono fulmini e saette da ogni parte. Dovrebbe lasciare la poltrona di governatore e ritirarsi in buon ordine, per una sorta di responsabilità oggettiva. Da fervente cattolico viene considerato onnisciente, anche se non onnipotente.
Altro trattamento è riservato ad altri presidenti di regione, sui quali incombono fascicoli giudiziari molto più pesanti. Nessuno chiede dimissioni per loro. E loro si guardano bene dall’offrirle. Per esempio, il governatore pugliese Nichi Vendola, leader di Sinistra e libertà, è iscritto nel registro degli indagati per due inchieste sulla gestione sanitaria. Assessori della sua giunta e alti dirigenti da lui nominati (e da lui «coperti », come risulterebbe da intercettazioni) sono da lungo tempo sottol’attenzione dei magistrati. «Schizzi di fango», obietta Vendola, argomento difensivo analogo a quello scelto da Formigoni («sono limpido come acqua di fonte »). Ma il primo può restare al suo posto, il secondo no.
Altra regione, altro scandalo. Vasco Errani, governatore dell’Emilia Romagna, è indagato per aver fornito informazioni fuorvianti al magistrato che indaga sui contributi «facili» concessi dalla regione alla coop Terremerse presieduta da suo fratello, Giovanni Errani, indagato a sua volta. Un cordone di sicurezza ha fatto quadrato attorno all’occupante della poltrona che fu, tra gli altri, di Pier Luigi Bersani. In Toscana l’ex assessore regionale Riccardo Conti (Pd) è indagato per faccende di appalti e mazzette per la bretella stradale Signa-Prato: nessuno tuttavia ne chiede ragione al governatore Enrico Rossi, anch’egli Pd.
Filippo Penati, ex capo della segreteria di Bersani e consigliere regionale lombardo, è indagato per altre presunte tangenti a favore del partito. Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita e ora senatore del gruppo Misto, è accusato di aver sottratto fondi al partito per decine di milioni di euro. Non si ha notizia di loro dimissioni né qualche papavero del Pd ha chiesto di cacciarli. È solo Formigoni che se ne deve andare.
L’elenco sarebbe lungo.Marta Vincenzi, sindaco pd di Genova, fu sfiorata quattro anni fa da un’inchiesta che portò all’arresto del suo portavoce e di due ex consiglieri comunali, e all’avviso di garanzia per due ex assessori. Nemmeno l’inadeguatezza davanti all’alluvione di novembre l’ha indotta a dimettersi. Per altri motivi sono indagati il sindaco di Bari, Michele Emiliano, Pd, ex magistrato che indagò sulle malefatte della Missione Arcobaleno. E pure il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, anch’egli con la toga di inquirente appesa al chiodo. «Giggino» non è semplicemente indagato ma addirittura sotto processo, assieme al consulente informatico Gioacchino Genchi, nell’ambito dell’inchiesta «Why not» che egli stesso avviò a Catanzaro. La prima udienza di ieri a Roma è stata aggiornata a martedì prossimo. Dimissioni per questi primi cittadini? Manco a parlarne.
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