De Benedetti scarica il Pd e abbraccia Rutelli

Roma La «cosa» di Francesco Rutelli debutta in tono minore, senza grandi fanfare. Eppure, dentro il Pd, la nascita di «Alleanza per l’Italia» suscita più allarme del previsto, e ieri c’erano illustri dirigenti che si aggiravano per il Transatlantico di Montecitorio chiedendo ansiosamente ai giornalisti se risultassero nuove fuoriuscite dal principale partito di maggioranza.
Ad alimentare la preoccupazione, poi, ci si è messa anche la voce che ad incoraggiare l’operazione rutelliana ci sia, dietro le quinte, anche l’editore di Repubblica Carlo De Benedetti. Il quale, come spiega un parlamentare appena uscito dal Pd per seguire l’ex sindaco di Roma, «è convinto che un Pd dalemiano e post-diessino sia destinato all’opposizione perenne», e quindi vede di buon occhio «la nascita di un nuovo soggetto che possa sfondare in aree elettorali che il Pd di Bersani non raggiungerà mai». L’Ingegnere, che a suo tempo aveva indicato Rutelli e Walter Veltroni come leader del Pd di cui avrebbe voluto la «tessera numero uno», continua a mantenere ottimi rapporti con l’ex leader della Margherita, e secondo i ben informati avrebbe anche incoraggiato il suo amico Bruno Tabacci (che del movimento rutelliano sarà portavoce) a entrare organicamente nel progetto. Che può diventare la testa di ponte per agganciare stabilmente l’Udc al centrosinistra.
Nel Pd si agita soprattutto l’ala ex Popolare, che teme la nascita di un soggetto esterno in grado di attirare pezzi di nomenklatura moderato-cattolica, e soprattutto di rendere sempre più superfluo (da «soprammobili», come dice l’ex ministro Fioroni, o più brutalmente da «partito dei contadini polacchi», vassalli dei comunisti, come ironizza il rutelliano Gianni Vernetti) il loro ruolo in un Pd a maggioranza diessina. Nel quale guarda caso, proprio in contemporanea con il lancio della creatura rutelliana, è tornato a casa l’ex Ds Pietro Folena, spiegando che «con l’elezione di Bersani si apre una nuova fase». Folena era uscito dalla Quercia per andare col Prc, e l’annuncio del suo ingresso nel Pd viene letto come la prima avvisaglia di una migrazione di quel che resta della sinistra (dai Verdi a Sinistra e Libertà) nel grande contenitore democrat.
Rutelli ha presentato ieri nome e marchio (provvisorio) del suo movimento, Alleanza per l’Italia. Formula non nuovissima, visto che nel 2007 ci aveva già pensato Gianfranco Fini per An, poco prima di co-fondare il Pdl. «Il Pd è andato a sinistra, e noi vogliamo unire le forze riformiste, moderate e liberali: vedrete che ci sarà una crescita ulteriore», promette.

Intanto, però, ha respinto con cortese fermezza l’adesione dei teodem di Paola Binetti, la quale lamenta che nel suo «manifesto» Rutelli parli più di laicità che di «valori cattolici». E non è un caso: assieme alle dure critiche al «populismo» berlusconiano e alle leggi «ad personam» sulla giustizia, anche l’addio ai teodem viene letto come la conferma di un silenzioso imprimatur debenedettiano.

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