La denuncia del Pdl: una sola consulenza è costata quasi 3 milioni

RomaA pochi giorni dalla sentenza della Cassazione sui diritti Mediaset, fissata a tempo di record il 30 luglio per scongiurare il pericolo che parte dei reati contestati a Silvio Berlusconi cadessero in prescrizione, il Pdl fa quadrato intorno al Cavaliere spulciando le pagine di un processo che tra perizie, rogatorie e atti vari potrebbe essere già costato allo Stato intorno ai 20 milioni di euro. Basti pensare che una sola delle tante consulenze ordinate dalla Procura di Milano per cercare di mettere all'angolo l'ex premier con una condanna a 4 anni di reclusione è costata da sola quasi 3 milioni.
Il documento, di sette pagine, è duro con i magistrati meneghini: avrebbero fondato il dibattimento su un'ipotesi accusatoria «assurda e risibile» che ha passato il vaglio dei giudici solo perché questi sarebbero «totalmente appiattiti sull'accusa e non «super partes». Quando sul banco degli imputati siede Berlusconi, in aula c'è un fervore inquisitorio che altri processi neppure si sognano. E non importa se il collegio del Tribunale di Milano fosse presieduto da Edoardo D'Avossa, un giudice già ricusato perché in un altro dibattimento che riguardava sempre la Fininvest aveva condannato i dirigenti imputati sottolineando come fosse noto a tutti che nel gruppo si utilizzassero fondi neri, salvo poi essere smentito in Appello e in Cassazione. Non importa nemmeno che la presidente della Corte di Appello che ha confermato la sentenza di condanna dell'ex premier, Alessandra Galli, avesse manifestato pubblicamente la sua disapprovazione nei confronti del governo Berlusconi. In qualsiasi altro Paese, questo non sarebbe stato possibile. E in qualsiasi altro Tribunale, secondo i fedelissimi del Cavaliere, l'esito del processo sarebbe stato diverso. Anche perché i fatti contestati sarebbero accaduti nella prima metà degli anni '90, quindi abbondantemente prescritti se i giudici non avessero accettato l'insolita tesi della Procura secondo la quale la compravendita dei diritti aveva continuato a produrre i suoi effetti in tutti gli esercizi di bilancio in cui gli stessi diritti avevano trovato utilizzazione, ancorché fossero stati pagati all'epoca dei contratti originari risalenti agli anni '90 e ammortizzati nei bilanci aziendali. Altra assurdità evidenziata dal Pdl è rappresentata da ben due sentenze della Cassazione che hanno stabilito l'estraneità di Berlusconi alla gestione di Mediaset negli anni in questione.
A Milano il Tribunale non ha creduto che l'imprenditore americano Frank Agrama fosse l'unico canale attraverso il quale Mediaset poteva accedere ai prodotti Paramount, neppure di fronte al fatto che quando un nuovo amministratore di Mediaset cercò di fare a meno della mediazione di Agrama trattando direttamente con Paramount la casa cinematografica americana cedette i suoi prodotti alla rivale Rai. Per i giudici Agrama era socio occulto di Berlusconi e con lui avrebbe diviso gli utili delle vendite Paramount, anche se dagli atti risulta che i due si incontrarono solo un paio di volte negli anni '80 e che mai c'è stato alcun trasferimento di denaro tra loro.

Come spiegare, poi, le tangenti in «nero» pagate per far sì che l'azienda acquistasse l'intera produzione annuale di Paramount? Berlusconi avrebbe mai acconsentito al pagamento di mazzette a propri dirigenti per agevolare Agrama? E poi, si sottolinea nel dossier, tutti i testimoni hanno escluso che Berlusconi si fosse mai occupato dell'acquisto di diritti tv.

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