DOMANDE & RISPOSTE

Noi occidentali non capiremo mai del tutto dove finisce il pudore e dove incomincia lo spirito di corpo. E se l’impulso a ripartire, a rinascere dopo la tragedia, origini più dal desiderio di custodire il passato o da quello di pianificare il futuro. Il Giappone, stravolto dal terremoto e dallo tsunami, come un samurai incurante delle ferite che sanguinano impugna la spada e riprende subito a combattere. Ne è certo Gian Carlo Calza, fra i maggiori studiosi italiani della cultura nipponica.
Professore, da che cosa deriva questa forza?
«Dalla tradizione, dall’orgoglio. Lo spirito confuciano è ancora ben presente nella società giapponese, e vi rafforza il concetto di responsabilità».
E di solidarietà...
«Certo. Per loro la collettività viene sempre prima dell’individuo. Penso a quanto accadde dopo il bombardamento di Nagasaki. Il grande fotograto Yosuke Yamahata il giorno dopo era sul posto, per testimoniare l’orrore. Vi tornò a distanza di un anno: la gente lavorava già alla ricostruzione di un tempio e zappava negli orti...».
Ma questo perché chi di dovere non aveva informato il popolo dei pericoli della contaminazione.
«Sì. Ed è il lato oggettivamente negativo del modo di pensare giapponese. Oltre che confuciani, sono anche molto superstiziosi. Si rifiutano di manifestare gli effetti dei danni subiti, tendono a celarli dietro una cortina di operoso silenzio».
Purtroppo, per loro è un’abitudine.
«L’ultima apocalisse era attesa. Si susseguono più o meno a cadenza cinquantennale...».
Però ancora una volta si rialzeranno.
«Senza dubbio. Troveranno le forze per volgere in positivo tutto il dolore che stanno provando. Diciamolo: il Paese è in sofferenza dalla clamorosa crisi della Borsa dell’87. Fu la prima grande botta all’economia giapponese. Dalla quale non si sono ancora ripresi, a parte in qualche misura, durante il mandato del primo ministro Koizumi».
Perché?
«La classe dirigente dirige ben poco, prevalgono apatia e burocrazia. C’è bisogno di un cambio di marcia. E ci sarà».
Prendendo slancio dalle macerie che tutti noi vediamo in tv in queste ore?
«Certo.

Uno choc simile non è paragonabile a quello della seconda guerra mondiale. Il fenomeno è di proporzioni tali che nessun giapponese lo può riferire a se stesso. Ma alla collettività sì. È in questo la radice della rinascita».

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