Tutti felici, dunque. Non manca uno, di quelli che hanno fatto la propria fortuna esclusivamente sedendosi sulle poltrone create dall'Unione europea, che non manifesti la sua soddisfazione per la decisione della Corte tedesca (...)
(...) che ci autorizza a indebitarci fino al collo. I popoli tacciono, come sempre quando si tratta dell'Ue. Nessuno chiede loro un parere, tanto meno un consenso. E come potrebbero, in ogni caso, rallegrarsi della possibilità di aumentare i propri debiti mettendosi sotto il tacco di potenti usurai?
L'entusiasmo quindi riguarda soltanto coloro che vivono di Unione europea e vi spadroneggiano. Il signor Barroso ha alzato il dito minaccioso contro chiunque si permetta di dubitare ancora dell'irreversibilità dell'euro e si appresta con severa solerzia a mettere in riga tutti i sudditi dell'impero.
Del capo del governo italiano è inutile sottolineare la soddisfazione: è praticamente nato e vissuto nelle strutture dell'Ue e nessuno «ha fatto i compiti a casa» meglio di lui. E che dire della signora Merkel? Abilissima equilibrista tra l'incoraggiare allo sforzo solidale i riluttanti membri dell'Unione e al contempo convincere i suoi poveri connazionali che si tratta del loro stesso interesse, vede finalmente premiata la sua femminea strategia. Non si è ancora sentita la voce del signor Draghi ma, data l'eleganza del suo stile, si può supporre che taccia per non mettere in eccessivo rilievo le proprie vittorie.
Insomma, detto brutalmente: nel caso si fosse disgregata l'Unione, nell'eventualità che l'euro fosse sparito, che fine avrebbero fatto tutti costoro? Giustamente si rallegrano perché da due anni a questa parte sono stati sulla graticola della continua incertezza sul destino dell'euro e di conseguenza dell'Unione. Avevano appena tirato il fiato, alla fine del 2010, con la stiracchiata ratifica di una pseudo Costituzione (il trattato di Lisbona, prudentemente sottratto ai referendum popolari ovunque non fosse obbligatorio) quando la bufera economica, i fallimenti delle loro amatissime banche, li hanno risospinti in alto mare e se la sono vista davvero brutta tanto che, riflettendo sull'evidente pericolo di una totale disfatta del progetto europeo, hanno tutti pensato che l'unica soluzione possibile era quella di prendere direttamente in mano il potere sugli Stati membri, sottraendolo, più o meno visibilmente, ai singoli Parlamenti.
Come farlo? Semplice: con il denaro, con il «Debito». Non che il denaro non sia stato adoperato abbondantemente anche in precedenza. L'adesione di molti degli Stati, soprattutto i meno entusiasti, è stata «incoraggiata» tramite abbondanti finanziamenti di vario genere (uno degli esempi più miserevoli è stato il finanziamento all'agricoltura dell'Irlanda che, avendo detto di no al primo referendum per l'adesione, si è così decisa a dire di sì al secondo).
Adesso, però, la situazione richiedeva il massimo della competente astuzia dei banchieri, dei più abili giocatori, quelli che sanno giocare in borsa. Individuato il punto di attacco nell'eccessivo debito di alcuni Stati, tra i quali l'Italia per la sua importanza come immagine e come posizione strategica, è incominciato il gioco del tira e molla nella concessione di prestiti, per rafforzare con singoli patti quali il fiscal compact e il Fondo salva-Stati la dipendenza dal potere dell'Unione.
Angela Merkel e Mario Draghi soprattutto sono stati bravissimi nel passarsi la mano nel gioco del poliziotto buono e il poliziotto cattivo, di volta in volta uno facendo la faccia feroce e l'altro fingendo di inventarsi mirabili concessioni e viceversa; alla fine, però, stringendo sempre di più il cappio europeo intorno al collo dell'indipendenza e della sovranità degli Stati. Poteva forse la Corte tedesca mettere fine al gioco? Suvvia! Ha con tutta evidenza ratificato la sudditanza e l'interdipendenza degli Stati mettendo in ogni caso al sicuro il voto decisivo della Germania con un limite, quello di 190 miliardi, che è lo stesso con il quale la Germania contribuisce al Fondo salva-Stati.
Per comprendere tutto questo non ci vuole molto: basta riflettere sui dati. La Banca centrale europea non è quello che dice il suo nome, ossia non dipende dagli stati dell'Ue. È una banca privata di cui i maggiori «azionisti» non sono le banche dei Paesi membri, che vi partecipano in piccola parte, ma alcune delle persone più ricche del mondo, tra i quali i Rothschild, i Rockefeller, la regina del Belgio, la regina di Spagna e anche il signor Draghi. Naturalmente hanno uno scopo nell'impegnare i propri soldi. Vogliono accentrare sempre di più le ricchezze in poche mani, eliminando i rischi connessi con l'amministrazione politica degli Stati e giungere forse a un'amministrazione economica planetaria. L'unificazione degli stati d'Europa è, almeno per ora, il più bel frutto della loro strategia.
segue a pagina 11
Parietti a pagina 10
di Ida Magli
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