Per Monti tira già aria di resa: devo riabituarmi a fare il prof

Il premier rassegnato alla sconfitta, altra gaffe sull'"onorevole" Fassina. Casini capolista in cinque regioni

Il presidente del Consiglio dimissionario Mario Monti
Il presidente del Consiglio dimissionario Mario Monti

RomaSarà la spossante trattativa sulla lista per il Senato. Sarà la traballante prospettiva politica. Sarà che la scelta civica proprio non «tira» nei sondaggi. Sarà che la gagliarda performance del Cav da Santoro ha reso stridente l'insostenibile leggerezza propagandistica del Prof.
Sarà tutto questo, e altro, ma il Mario Monti apparso ieri a Orvieto, al convegno dei montiani del Pd, sembrava pericolante e crepuscolare come i tramonti dalla rupe di tufo della cittadina. Se ne devono essere accorti Fini e Casini che, ieri nel tardo pomeriggio, per due ore a Montecitorio (presente Riccardi) hanno cercato di chiudere una volta per tutte la lista al Senato e di «fare il punto» sul mutato scenario elettorale. Con un Berlusconi così tosto in campo, occorrerà correre ai ripari. Sicuramente, dare una bella ridimensionata alle ambizioni generali della truppa, anche sotto il profilo della campagna elettorale e delle possibili alleanze post-voto.
Intanto, un primo traguardo è stato - seppur a fatica - tagliato. In tarda serata sono state rese note le candidature al Senato della Lista Monti. Poche le sorprese, con Casini capolista in cinque regioni e una scientifica spartizione di posti e ruoli: tre ex Pd capolista (Ichino in Toscana, Maran in Friuli e Lanzillotta in Umbria) e due cattolici (Olivero in Piemonte e Della Zuanna in Veneto); un ex ministro come Moavero (terzo dopo Casini e Giulia Bongiorno in Lazio) e tre ex Pdl come Albertini (capolista in Lombardia), Mario Mauro (terzo in Lombardia) e Giuliano Cazzola (terzo in Emilia); De Giorgi di «gay.it» quarto in Toscana, il giornalista Mario Sechi capolista in Sardegna.
Insomma, un manuale Cencelli delle candidature che non spazza via la malinconia che aleggia sui montiani in questi giorni. Rassegnazione trapelata al convegno di Orvieto più volte, nei discorsi del candidato-non candidato Monti: «Da molto tempo non sono più capace di fare relazioni introduttive, ma probabilmente presto mi riaddestrerò per questo mestiere...», diceva il Prof facendo intendere il suo ritorno in cattedra. E, più avanti, parlando dei populismi europei e del vertice proposto al presidente del Consiglio Ue: «Immagino che Van Rompuy riprenderà l'idea con chi governerà l'Italia più avanti...». E ancora, con quel suo insistere sulla «necessaria collaborazione» tra i «riformisti» dopo il voto.
L'irrealistico slogan «gioco per vincere» evapora così tra le nebbie di un Paese saldamente bipolarista e che tutt'al più potrà consentire ai centristi la funzione di ruota di scorta. Traguardo tanto modesto, dopo così elevato spiegamento di forze, da far venire lo scoramento. Disperanti e vacue appaiono anche alcune tesi professorali, la prima delle quali talmente elitaria da rasentare l'azzardo: piuttosto che portare la politica italiana a una dialettica di tipo europeo, secondo Monti sarà l'Europa, in futuro, a doversi guardare dallo «schema destra-sinistra: Dio ce ne scampi!».
Ma il Prof appare distante persino dalla politica nazionale quando, nell'ansia di focalizzare il ruolo «conservatore» di Fassina, pretende di giudicarne l'attività parlamentare. «Vendola non l'ho visto all'opera perché non è in Parlamento, ma l'onorevole Fassina...». Stefano Ceccanti timidamente fa notare che non è neppure deputato.

Il Prof rimedia alla gaffe con le battute: «Ah, non era onorevole? Beh, però influiva e parecchio nel dibattito... Essendo un bocconiano, è influente anche nei luoghi dove non siede». Lucciole per lanterne, distanze siderali dalla realtà vissuta da ciascuno di noi. Si ride in sala. Per non piangere.

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