Gucci fa la femme fatale e Ferretti la rende eterea

Gucci fa la femme fatale e Ferretti la rende eterea

La moda risponde a questi tempi grami con una quantità di dettagli e decorazioni mai vista prima. Qualcuno gestisce questa ricchezza con la soave lievità dell'ironia oppure del gioco colto e mai banale sugli stereotipi della femminilità. Altri ci vanno giù pesante e, come direbbero gli inflessibili giudici di Masterchef, si assumono il rischio di mettere nel piatto un mappazzone. Nella collezione Gucci del prossimo inverno c'è tutto quello che può servire a una donna per trasformarsi nella più cinematografica delle femme fatale: dall'impeccabile tailleur con gonna dritta dal profondo spacco e piccolo caban a forma di uovo, agli abiti da sera in raso, tulle, piume, canottiglie di vernice, borchie e cristalli. In mezzo le calze a rete con tanto di riga dietro, i colori densi e cupi tipo nero, burgundy, ruggine, verde muschio oltre a un tocco di celeste e lo spettacolare ramage di foglie matelassè che definisce con un effetto volutamente drammatico la linea degli abiti da cocktail. C'è insomma di tutto, a cominciare dagli stupendi accessori che comprendono stivali da cattivona e un riuscito remake dell'iconica borsa Bamboo. Quel che manca è la dolcezza, qualcosa di morbido e rotondamente femminile come il trionfale pancione di Frida Giannini che a giorni partorisce la sua prima bambina e ciò nonostante non si è sottratta all'uscita finale in passerella e tantomeno al duro lavoro. A parte questo che in ogni caso merita rispetto e ammirazione c'è un eccesso di styling e di solennità per cui alla fine la femme fatale sembra soccombere a se stessa. Ben altro effetto ottiene Francesco Scognamiglio che pure lavora sulla stessa idea di donna personificandola addirittura in Veronica Lake. Nel processo di collezione l'immagine per così dire si sporca diventando più simile a Kate Moss. Il pezzo più moderno è una blusa in organza maculata su bianco corta davanti e con lunghissimo strascico dietro da portare mollemente appoggiato sul braccio. Il più bello è un abito da sera candido con fiori ricamati da un artigiano che lavora per il Vaticano e ha riprodotto lo stesso motivo floreale sulle calze di pizzo. Certo, quando si parla di gusto della decorazione e modernità pochi possono competere con Alessandro dell'Acqua che per Numero 21 ha mischiato con successo mondi diversi. C'è il grunge delle camice a scacchi, il lusso estremo della felpa interamente coperta da cristalli dorati, il rigore maschile di certi capi (il giaccone da pompiere in pelle craquelé color oro oppure i pantaloni dritti da portare con i mocassini decorati sul tallone) opposta all'estrema femminilità degli avvolgenti cappotti over tra cui uno, in nylon bianco, bello da fermare un orologio. Si resta esattamente così, come colpiti al cuore da una rivelazione davanti alla bravura di Alberta Ferretti che continua il suo straordinario lavoro sulla leggerezza ma stavolta la rende stratificata, galleggiante, ondivaga e soprattutto simmetrica all'estremo rigore dei modelli. Si passa dalla gonna lunga e nera abbinata a un'evanescente camicetta di chiffon bianco per approdare al semplicissimo abito da sera in velluto ametista. In mezzo le ruches, un vago sapore di direttorio, i sapienti drappeggi che enfatizzano il lato b oppure incorniciano la purezza del viso sempre decorato dagli stupendi orecchini a forma di croce al valore. «A chi vuoi dare una decorazione del genere se non alle donne» si chiede la Ferretti.

In un certo senso le risponde Simonetta Ravizza con la sua bellissima collezione fatta di contrasti: il rigore dei pantaloni e delle gonne in pelle nera dal gusto volutamente punk, la morbidezza lussuosa delle incredibili pellicce leggere come nuvole eppure tagliate secondo i sacri crismi della couture. Il risultato è una donna sexy e grintosa che non ha tempo da perdere con gli inutili orpelli di una presunta femminilità.

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