I conti sbagliati di Monti: dal calcio soldi allo Stato

I conti sbagliati di Monti: dal calcio soldi allo Stato

Consideriamola una provocazione e basta. Altrimenti dovremmo catalogare l’uscita del premier Monti («Mi domando se per due o tre anni non gioverebbe una totale sospensione del calcio») come un autentico autogol, di quelli che fanno perdere partita e campionato. Premesso che la politica non può insegnare niente a nessuno sul piano etico, basti pensare al numero di deputati, senatori e consiglieri regionali impelagati con la giustizia, i numeri danno torto marcio al presidente del consiglio.
Nel suo insieme il pallone fattura almeno 9,5 miliardi, dà lavoro a 700mila persone di cui la metà in modo diretto, versa all’incirca un miliardo e mezzo fra imposte fiscali e contributi previdenziali. A questo riguardo l’indebitatissima Serie A, in rosso per 2,6 miliardi dopo l’ultima perdita netta di 428 milioni, contribuisce con quasi 800 milioni alle fortune delle casse statali. E la cifra sarebbe ancora più importante se tutti i pagamenti, come i diritti d’immagine di alcuni giocatori e le consulenze di mercato, fossero effettuati in piena regola. A 9,5 miliardi si arriva partendo dall’inchiesta effettuata nel 2003 dalla Deloitte (capofila Antonio Marchese, oggi consulente di Barbara Berlusconi nel Milan) che quantificò in 6,3 miliardi il valore del calcio. Da allora i ricavi del mondo professionistico sono aumentati di oltre un miliardo e la raccolta ufficiale delle scommesse sportive è salita di 2 miliardi abbondanti. Erano 3 un anno fa. E sarebbero ancora di più considerando la rete parallela che non confluisce nell’Amministrazione dello Stato.
Il valore aggregato del calcio figurerebbe al decimo posto della classifica annuale stilata da Mediobanca. Con 9,5 miliardi s’inserirebbe fra le Poste Italiane, che fatturano poco più di 10 miliardi, e la Saras della famiglia Moratti che presenta un fatturato di 8,5 miliardi. Meglio di Riva, Kuwait Petroleum, TotalErg di casa Garrone, Ferrovie dello Stato, Autogrill e Fininvest. Figuratevi cosa accadrebbe se il pallone restasse sgonfio per due stagioni. Il pil arretrerebbe di quasi 3 punti, la disoccupazione aumenterebbe e i consumi segnerebbero un clamoroso ristagno. Ne risentirebbe il turismo in tutte le sue forme considerando il movimento che il calcio si porta appresso fra addetti ai lavori e tifosi: dai pedaggi autostradali ai ristoranti, dagli alberghi al merchandising. Un disastro. Giusto il contrario di quanto si propone questo governo tecnico che fatica a far ripartire l’economia perché non offre sufficienti garanzie all’imprenditoria tartassata da balzelli in serie.
Già che c’era, Monti ha sbagliato un altro passaggio quando ha aggiunto: «Trovo inammissibile che siano stati e vengano tuttora utilizzati soldi pubblici per ripianare i debiti dei club». Dal tempo del decreto salvacalcio, che l’Unione Europea dimezzò da 10 a 5 anni considerandolo un aiuto di Stato, e a quei tempi il premier era Commissario europeo alla concorrenza, il governo italiano non ha mai dato una mano al calcio. In precedenza, questo sì, l’Agenzia delle Entrate spalmò in 23 anni il debito della Lazio: fatto inusuale, ma servito a recuperare i quattrini e salvare il club biancoceleste. C’è poco da dire invece sul sostegno al Coni (410 milioni quest’anno) che arriva dalle imposte di tutti i giochi, pari a circa 10 miliardi. E comunque dopo che lo Stato ha incassato per mezzo secolo fior di miliardi di vecchie lire con il Totocalcio.
Resta la realtà d’una situazione fuori da ogni regola. E su questo s’è espressa senza sottintesi Barbara Berlusconi: «E’ sotto gli occhi di tutti la necessità di aprire una nuova fase del calcio italiano affinché questo sport resti una risorsa del paese.

Dal pallone lo Stato incassa oltre un miliardo di euro all'anno e, in un momento complicato delle finanze pubbliche, non mi pare poco. I club non possono più essere fabbriche di debiti ed è inaccettabile che si ripetano scandali come quelli del calcioscommesse». E’ la risposta più sensata alla provocazione di Monti.

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