I verbali dell’inchiesta

Milano«Usciamo a cena con Angelo e Nerio insieme, in modo da cercare di tirar su la base d’asta di Jurassic, almeno di farlo lievitare un po’». Al telefono, l’intermediario Stefano Borghi parla con Adalberto Bestetti, presidente di Siirtec Nigi, uno dei maggiori process engineering contractors italiani. Insomma, un colosso degli idrocarburi. Borghi non sa di essere intercettato dalla Finanza di Milano. Anzi, crede di essere al sicuro, grazie a un cellulare che monta una scheda lituana. «Quella lì non è tracciabile». Non è così. Gli investigatori ascoltano. «Nerio» è Nario Capanna, manager di Saipem spa. «Jurassic», invece, è il nome di un progetto per la gestione di un giacimento del nord del Kuwait. In ballo c’è un contratto - l’«Early production fascilities» - da un miliardo e mezzo di dollari, firmato il 16 dicembre del 2010 dalla Saipem con la società locale Kharafi National e che comprende esplorazione, produzione e trattamento degli idrocarburi sul campo. Il senso di quella conversazione, secondo gli inquirenti, è di gonfiare il prezzo per spartirsi una torta più ricca. L’inchiesta della Procura di Milano - anticipata ieri dal Corriere della Sera - viaggia fra Italia, Svizzera, Gran Bretagna e Israele, e punta a Eni. Un gruppo affaristico -dicono gli investigatori- organizzato in modo da «influire illecitamente nell’aggiudicazione di gare» d’appalto per contribuire alla realizzazione di giacimenti petroliferi in Iraq e Kuwait con «dirigenti infedeli del gruppo Eni e faccendieri» aveva costituito «società gemelle» all’estero per spartire le tangenti rastrellate da aziende italiane per essere ammesse al lavori da miliardi di dollari.
La Spa del Cane a sei zampe è indagata come persona giuridica per l’ipotesi di corruzione internazionale. Sotto inchiesta per associazione a delinquere ci sono lo stesso Capanna, Diego Brachi (a capo del «progetto Zubair» di Eni) e tre intermediari: oltre a Borghi, anche i manager Massimo Guidotti ed Enrico Pondini. Fra di loro si chiamano con soprannomi - «il Mentone», «Panatta», «Maradona», «lo zio Tom», «il Lupo» - e sono loro che avrebbero cercato di favorire aziende italiane come Ansaldo, Renco, Elettra Energia ed Elettra Progetti, in cambio di tangenti. Nel decreto con cui ha disposto la perquisizione di diverse società, il pm Fabio De Pasquale scrive che gli indagati «operano per influire illecitamente nell’aggiudicazione di gare all’estero in cui sono coinvolte, come stazione appaltante, società del gruppo Eni». Come? «Veicolando informazioni riservate sui requisiti per la partecipazione alla gare e alle offerte presentate dai concorrenti», «sollecitando la messa a disposizione di provviste di denaro dalle società interessate ad aggiudicarsi le gare», «esercitando pressioni nei confronti di funzionari della struttura Eni preposta agli appalti», «pianificando strategie di avvicinamento nei confronti di pubblici ufficiali e organizzando pagamenti di tipo corruttivo».
Come sarebbe avvenuto per «Zubair», il progetto per un giacimento a Bassora (Iraq). Eni firma il contratto di servizio con gli iracheni il 22 gennaio del 2010. E Braghi «ha un ruolo cruciale nell’assegnazione degli appalti». «Hai visto cosa gli ho scritto? - la telefonata è del 17 gennio scorso -. Nonostante fosse il più caro, abbiamo fatto il possibile per fartelo prendere». Oppure, di boicottare la concorrenza. «Se posso - dice il manager il 23 marzo - non li faccio vincere». Girano informazioni riservate e soldi sospetti. «Matteo - commenta Braghi con Matteo Talleri della fiduciaria «Talenture» di Lugano il 29 novembre del 2010 - vengo se mi confermi che è stato fatto l’ultimo pagamento, 100mila dollari più 100mila».
In attesa che l’inchiesta faccia il suo corso, il «gruppo affaristico» è stato allontanato dall’azienda.

«Eni - spiega un comunicato di San Donato Milanese - intende mettere in atto tutte le iniziative a tutela dei propri interessi nei confronti dei dipendenti infedeli che risulteranno coinvolti nelle condotte illecite. Siamo parte lesa».

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