Ingroia pregusta lo sgambetto ai democratici

L'ex "capellone con l'eskimo" vede più vicino l'8% al Senato

Ingroia pregusta lo sgambetto ai democratici

Roma Pas d'ennemi à gauche, nessun nemico a sinistra. Magari fosse vero, e la lingua batte dove il dente duole.
Se stavolta duole dalle parti del portafoglio del Pd, è chiaro come il dolore sia dieci volte più intenso. «Sciacalli», li ha additati con insolito piglio Stefano Fassina, come tutti i bocconiani assai distratto sulla vicenda Mps. Ma nel frattempo dalle tribune era già sceso il campione della durezza-quando-il- gioco-si-fa-duro, Massimo D'Alema, in carica come un toro davanti al drappo rosso. Il drappo di coloro che, settimane dopo settimane, son diventati nemici numero uno: Antonio Ingroia e la «comitiva notissima», come l'ha enumerata l'ex premier che voleva fare di Palazzo Chigi una merchant bank (senza riuscirci peraltro). Diliberto, Ferrero, Pecoraro Scanio (neppure di Rivoluzione civile, ma fa lo stesso). Gente che «non ha dato gran prova di sé, ma ha creato una certa quantità di danni alla sinistra». Figli di un estremismo che ha l'aggravante del «tono moralistico che si pone all'opposto della moralità» e alimenta «una concezione manichea della magistratura». In definitiva: «Ingroia non faccia a noi la morale, pensi a sé e al suo guazzabuglio d'estremisti».
Qui però il discorso si fa evidente, e non è affatto l'estremismo a render furiosi, quanto la rimonta del «partito delle Procure», presso il quale D'Alema ha conto aperto. Così il serpente striscia velenoso tra corridoi e scrivanie del Nazareno e alla fine si condensa nel sospetto che tutto spiega. Non passa inosservato il cadeau recapitato in piena campagna elettorale, quando l'inchiesta su Mps dura da tempo (l'Idv presentò interpellanze già a fine 2011 e poi a maggio 2012); e quell'«aiutino» insperato (?) che i colleghi magistrati fanno al collega in vista, Ingroia, piombato nella politica quando i giochi sembravano fatti e, appunto, alla sinistra del Pd ogni nemico era annientato.

Erano sicuri, forse troppo sicuri, quelli della macchina da guerra. Dopo la tabula rasa di Veltroni alle elezioni 2008, e il suicidio immobiliare di Di Pietro, e Vendola ormai compreso e contenuto nel sacro recinto del Pd, ecco che si realizzava l'antico vaticinio d'essere padroni solitari delle praterie di sinistra. Tacciare Grillo di fascismo, pur con l'approssimazione della propaganda spudorata, costituiva la ciliegina sulla torta. Ma ecco sul più bello rispuntare l'Idra dalle nove teste, una frusta a nove code il cui manico sta nel pugno saldo di un «ex capellone con l'eskimo», un Pm palermitano dell'antimafia, dunque della razza peggiore e più temibile, secondo la classifica dalemiana. Poco importa che le sue dichiarazioni contro il Pd fossero, fino a ieri sera quando è comparso a Servizio Pubblico, abbastanza di routine. «Vicenda torbida e oscura, sistema marcio, tratti inquietanti», diceva l'entourage. Colpa di Monti e di «chi l'ha sostenuto», s'è limitato a dire lui. Provando persino, morettianamente, a chiedere a Bersani «smettiamola di farci del male».

Appello apparso la più classica delle foglie di fico sugli sghignazzi, proprio mentre l'inchiesta faceva entrare la lama nella questione morale del Pd, appena appena evocata dal campione della magistratura. Per Ingroia la quota dell'otto per cento non è più una chimera. E farebbe, quello sì, la frittata in Senato.

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