Ius scholae sì o no? La Francia verso la "patente" di cittadinanza

Macron aveva già cambiato la legge un anno fa dopo il flop dell'integrazione per gli immigrati di seconda generazione, ma ora vorrebbe addirittura potenziarla: cosa sarebbe successo da noi con una proposta simile? Il caso dell'eroe Rami

Ius scholae sì o no? La Francia verso la "patente" di cittadinanza
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Cittadinanza italiana ai minori nati nel nostro Paese da genitori stranieri: sì o no? Il dibattito politico sullo Ius scholae che sta infiammando i partiti, in piena pausa estiva dai lavori parlamentari, è ritornato in auge subito dopo il trionfo del volley femminile alle Olimpiadi, ponendo sul trono le biografie di Paola Egonu e Myriam Sylla a simboli di una battaglia che è sempre stata tradizionalmente della sinistra. A parte il fatto che le due campionesse di pallavolo non c'entrano assolutamente niente con lo Ius soli o derivati - visto che entrambe sono italiane da sempre - quello che tuttavia molto spesso non viene preso in considerazione nelle varie discussioni è come si sono mossi gli altri Stati a noi vicini.

Da questo punto di vista, è molto interessante quello che è successo recentemente in Francia. Fino a un anno fa, infatti, vigeva il cosiddetto "doppio Ius soli": un figlio nato su quel territorio originariamente acquisiva in automatico la cittadinanza francese nel caso in cui uno dei due genitori fosse nato in Francia, seppur privo di cittadinanza francese. Dallo scorso dicembre, invece, la nuova norma prevede che bambini che rispondono comunque a questi criteri dovranno in ogni caso aspettare richiedere la cittadinanza quando avranno tra i 16 e i 18 anni. La stretta, inoltre, comprende un'ulteriore novità: le persone immigrate che sono state condannate per un reato non potranno mai più diventare cittadini del Paese ospitante.

Un dettaglio che non è per nulla sfuggito alla a deputata della Lega Simonetta Matone, che l'ha ribadito nell'intervista concessa a Il Giornale quattro giorni fa: "Se da minorenne incappo in una violazione della legge mi posso scordare la cittadinanza". E nello stesso Paese governato da Macron, dopo il fallimento dell'integrazione per gli immigrati di seconda generazione, non si esclude che chi l'ha già ottenuta possa anche vedersela revocata sempre per questioni legate al mancato rispetto delle norme penali. Insomma, la cittadinanza bisogna meritarsela e saperla conservare: una vera e propria "patente di cittadinanza". E chissà come sarebbe funzionato in Italia se una regola del genere fosse entrata già in vigore: per esempio nel caso di Rami Shehata.

Il suo nome rimbalzò molto tra i media nel marzo 2019 perché era stato il tredicenne di origine egiziana nato a Milano che contribuì a sventare il dirottamento di uno scuolabus che trasportava 51 bambini e ragazzini - e che venne sequestrato e incendiato dal folle autista senegalese a San Donato Milanese - riuscendo prontamente a chiamare il 112 senza venire scoperto dall'attentatore. Tutto il gruppo di passeggeri ebbe salva la vita e Rami ottenne nel luglio successivo, come premio, la cittadinanza italiana: chiesto in realtà a gran voce dai vari Fabio Fazio e Luciana Littizzetto che lo omaggiarono in diretta tv facendogli indossare il cappello da carabiniere, il suo mestiere che avrebbe voluto fare.

Quel riconoscimento non gli portò però estremamente bene: nel 2022 fu a capo di una baby gang che colpì selvaggiamente un quattordicenne con calci e pugni anche mentre era a terra. Risultato: "condanna" per lui a un anno di comunità più altri successivi dodici mesi di messa in prova ai servizi sociali presso la Caritas di Crema per avere disatteso l'ordine del giudice e trovato spesso in condizioni "anomale", per cui deve presentarsi con puntualità al Sert e sottoporsi a colloqui con specialisti per intraprendere un percorso di ripresa. Insomma, da eroe a bullo violento.

Un episodio che dimostra come, di fatto, che diventare italiani a 13/14 anni non solo non regala dei diritti in più che precedentemente non venivano riconosciuti a tutti quei minorenni che per legge devono ancora aspettare un po' di tempo prima di ricevere la cittadinanza del nostro Paese, ma allo stesso tempo non determina di per sé un destino migliore rispetto alla propria esistenza o il fatto di riuscire a emergere e svincolarsi da un'eventuale condizione di partenza non positiva.

Nel mezzo resteranno sempre, dirimenti, l'educazione della propria famiglia nonché l'insegnamento dei maestri di scuola. Se è vero che non è necessario avere un documento di appartenenza a uno Stato per dirsi "cittadino", è altrettanto certo il discorso opposto: non per forza basta sempre un riconoscimento per dirsi "italiano".

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