Le biografie ricordano che è stato il primo ex uomo del Pci a occupare la poltrona di Palazzo Chigi. Oggi, però, Massimo D'Alema non ostenta più con fierezza quel primato. Anzi, lo considera come un vero e proprio errore. In un'intervista a Enrico Lucci, delle Iene, lo dice chiaramente: "Non dovevo farmi prendere dalla sfida, dalla tentazione. Dovevo rimanere dove stavo: a via delle Botteghe Oscure". Ma facciamo un passo indietro: ottobre 1998, in appena due anni il governo Prodi è arrivato al capolinea. A staccargli la spina è Bertinotti. Viene creata una nuova maggioranza in laboratorio, con spezzoni del centrodestra che formano l'Udr. Con la sapiente regia di Francesco Cossiga a Palazzo Chigi si insedia D'Alema. Tra le motivazioni a suffragio del nuovo esecutivo di centrosinistra ce n'è una anche internazionale: l'Italia ha bisogno di un governo che risponda alle richieste della Nato e degli Usa, in vista dell'imminente attacco alla Serbia di Milosevic. D'Alema si presta volentieri al "giochetto" e, con una manovra di palazzo (di fatto un nuovo ribaltone) diventa premier.
Nella primavera del 2000 il centrodestra ha da poco stravinto le elezioni regionali. Il Polo della libertà e la Lega chiedono a D'Alema - che ha caricato quella tornata elettorale come un referendum pro o contro di lui - di prendere atto della batosta. Lui lo fa e rassegna le dimissioni, lasciando la palla ad Amato. In un anno e mezzo (dal 21 ottobre 1998 al 25 aprile 2000) ha fatto in tempo a guidare due governi. Eppure gli resta l'amaro in bocca. Qualche anno dopo confida al giornalista Peppino Caldarola il suo pentimento: "Ho sbagliato a prendere nel 1998, la guida del governo. Dopo la caduta di Romano Prodi avrei dovuto resistere a tante pressioni, battermi fino in fondo perché a Palazzo Chigi, nonostante la fiera opposizione di Francesco Cossiga, andasse Carlo Azeglio Ciampi, e restare segretario dell'allora Pds. Da allora - assicura nel libro-intervista - mi è rimasto incollato il cliché del politico intrigante e manovriero, complottatore e dedito all'inciucio".
Eppure la fama dell'inciucione gli è rimasta attaccata quasi come colla. L'ultima clamorosa gaffe della sinistra - la bocciatura di Prodi al Quirinale - per qualcuno è stata merito di D'Alema (e forse anche di Renzi). Tutti negano, ovviamente. Eppure quei 101 voti in libera uscita dal Pd da qualche parte arrivavano. D'Alema però non ci sta e torna a ribadire la propria innocenza: "E' una delle accuse false che mi vengono mosse". E prosegue spezzando una lancia a favore del suo nemico, il sindaco di Firenze: "In questo ho simpatia per Renzi perché, a differenza di queste canaglie che mettono in giro queste voci, Renzi è uno che mi ha affrontato direttamente.
Non hanno la forza di affrontarti, perché affrontare me è tostarella, diciamo la verità".Passano gli anni ma D'Alema è sempre D'Alema. Furbo, tagliente, quasi sempre saccente. E convinto più che mai di essere super intelligente e difficile da fregare.
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