L'Iva è un'imposta virale: contagia consumi e ripresa

L'effetto a catena dell'aumento della tassa colpirebbe anche i beni primari e soprattutto chi ha redditi medio-bassi. Alla faccia del Pd che parla di equità

La continua minaccia di aumentare le imposte, da parte del Pd in particolare l'Iva portandola dal 21al 22 per cento ha generato effetti negativi sulla ripresa economica e sul gettito delle imposte. Ciò perché il consumatore si è preoccupato ed è più cauto e le imprese sono più scettiche. Ora il governo dato il mancato miglioramento dell'economia ha ribassato la stima del Pil (prodotto interno lordo) e quella del gettito fiscale. Afferma che il deficit del 2013 sarà il 3,1% del Pil. Un eccesso di 0,1 del Pil, pari a 1,6 miliardi di euro, rispetto al livello del 3% necessario per non subire la procedura di infrazione europea.

Poiché il gettito «teorico» derivante dall'aumento di Iva ordinaria di un punto sarebbe di 4 miliardi, se nel quarto trimestre si aumenta l'Iva al 22% si recuperano 1,33 miliardi la cifra che servirebbe per rimanere entro il 3% di deficit. Così il governo dice che occorre aumentare l'Iva. E ciò genera altre preoccupazioni ed effetti sul Pil con danno per il gettito. Il segretario del Pd Epifani ora dice che l'Iva non va aumentata. Fassina, vice ministro dell'Economia del Pd, dice che bisogna «far pagare i ricchi»: cioè resuscitare la seconda rata dell'Imu sulla prima casa. L'incertezza si aggrava. Il Pd è rimasto agli anni '70 del secolo scorso. Non ha capito che non bisogna aumentare i tributi, ma ridurli, riducendo le spese. In effetti aumentando l'Iva ordinaria al 22% si colpisce la domanda interna di settori fondamentali della nostra industria, che sono competitivi nell'export soprattutto se possono contare anche su un robusto e dinamico mercato interno, con consumatori come quelli italiani, attenti alla qualità e all'originalità, che viene trasmessa al made in Italy e lo caratterizza.

Invero l'Iva ad aliquota ordinaria colpisce soprattutto i seguenti settori nevralgici per la nostra economia: abbigliamento e accessori, calzature, mobili, articoli di arredamento di ogni tipo, elettrodomestici grandi e piccoli, articoli sportivi, articoli per illuminazione, piatti, stoviglie e utensili per la casa, autoveicoli, motocicli, ciclomotori, carburanti e lubrificanti, biciclette, imbarcazioni, loro motori ed accessori, profumi e cosmetici, gioielleria e orologeria, strumenti musicali, articoli per la pulizia e per l'igiene personale, caffè confezionato, acque minerali, bevande gassate, succhi di frutta, bevande analcoliche, vini e superalcolici. Accanto a questi prodotti tipicamente italiani, sono tassati l'aliquota ordinaria e quindi passerebbero al 22% anche molti altri beni e servizi di largo consumo, che rientrano normalmente nei bilanci familiari, come i servizi telefonici e di internet, il gasolio per riscaldamento, gli spettacoli, i servizi balneari, quelli sportivi, i parrucchieri ed estetisti, pacchetti vacanza, gli articoli di cartoleria e cancelleria, i giocattoli, i videogiochi, i garage, posti auto, parcheggi e pedaggi, gli articoli elettronici come computer, telefonini, palmari, nonché i tabacchi e molti altri beni diversi dagli alimentari e dai prodotti agricoli, dai servi sanitari e altri servizi agevolati.

L'Iva è una imposta sul valore aggiunto, ossia colpisce il valore in più dei beni a ogni fase produttiva, che si calcola togliendo dall'aliquota sul prezzo di vendita trasferita sull'acquirente con rivalsa legale, quelle pagate per rivalsa sugli acquisti delle materie prime, semi lavorati e servizi prestati da terzi soggetti ad Iva. Quindi anche se qualche componente dei beni e servizi soggetti a Iva ad aliquota ordinaria sono tassati con aliquote ridotte del 4 e del 10% o sono esonerati, l'aliquota finale finisce per colpire anche i beni e servizi intermedi che non sono stati colpiti nelle precedenti fasi con l'aliquota ordinaria, perché per tali beni e servizi non ci sono detrazioni di Iva di livello ordinario. Pertanto i beni e servizi tassati con un aumento fiscale dell'1%, aumentano di prezzo dell'1%.

Studi scientifici seri mostrano che l'aliquota del 21% colpisce di più chi ha redditi medio bassi e medi e di meno chi ha redditi più alti, perché i consumi tassati si addensano in queste fasce di reddito. È chiaro che l'imposta in questione deprime la massa dei consumi ed è regressiva, cioè minore per gli alti redditi. Una bella trovata fiscale in termini di efficienza ed equità!

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