L'ultima verità di Simona: uno stupro mai dimenticato

L'ultima verità di Simona: uno stupro mai dimenticato

RomaSimona potrebbe essere stata violentata in passato da qualcuno di cui si fidava. Qualcuno, che le avrebbe graffiato l'anima così a fondo da non permetterle mai più di dimenticare. In quelle ferite mai rimarginate c'è la chiave per risolvere il mistero della ventottenne, trovata senza vita la mattina del 30 ottobre nel cortile dello stabile di via Urbisaglia, nel quartiere romano di San Giovanni.
In queste ore gli inquirenti, che indagano per omicidio volontario anche se sono sempre più convinti che possa trattarsi di suicidio, sono impegnati a scavare a fondo nell'esistenza della ragazza e in particolare nella sua complessa storia psichiatrica. Simona Riso, infatti, nascondeva un segreto doloroso, qualcosa su cui avevano lavorato a fondo diversi specialisti di strutture sanitarie romane. L'avevano seguita, avevano cercato di analizzarla e aiutarla, provando a capire quale fosse l'origine di quel «buco nero» che continuava a risucchiarla, mandando in frantumi il suo fragile equilibrio psichico. Il procuratore aggiunto, Pierfilippo Laviani, per questo sta studiando a fondo il passato medico e terapeutico della ventottenne, che soffriva di depressione e sembrava non trovar pace nonostante fosse fuggita dalla Calabria a 19 anni.
Forse la famiglia sa cosa c'è dietro le ultime parole pronunciate dalla tormentata giovane in ambulanza. Ai sanitari del 118 che le chiedevano se fosse stata aggredita o spinta aveva risposto «no». Ma quando le hanno domandato se fosse violentata aveva detto senza esitare «si». Circostanza, invece, esclusa dai medici del San Giovanni che l'avevano portata subito nel box ginecologico, mentre forse, come accusa il legale dei Riso, avrebbero dovuto dare priorità ad altri accertamenti. Probabilmente la donna parlava di qualcosa avvenuto molto tempo fa, qualcosa che non era mai riuscita a perdonare e perdonarsi e sarebbe stato alla base di un paio di episodi di autolesionismo, l'ultimo dei quali quando tentò il suicidio mentre era ricoverata per anoressia in una clinica privata. Da qui il ricovero al San Camillo e tre mesi di sedute e terapia psichiatrica, anche insieme ai componenti della sua famiglia. Di certo Simona era inquieta, così inquieta da non trovare pace né a Dublino, né a Milano dove abitava la sorella, né a Torino e tantomeno a Roma. Con il trascorrere dei giorni, comunque, gli inquirenti sono sempre più convinti che il 30 ottobre nessuno abbia aggredito la ventottenne. In procura, infatti, si ritiene importante la testimonianza di due religiosi, che abitano davanti allo stabile della tragedia, e dicono di aver sentito alle 6.30 un tonfo spezzare il silenzio che regnava in cortile. Ma nessuna richiesta di aiuto, nessun grido, niente che possa far pensare a una lite o a una lotta.

I due si sarebbero anche affacciati alla finestra ma, vedendo solo alcuni gatti che si rincorrevano in giardino, sarebbero rientrati in casa. Invece quel tonfo sordo era il corpo di Simona, che dalla terrazza condominiale piombava nel cortile, dopo aver colpito alcuni alberi presenti in quella traiettoria.

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