La Pasta Rummo mi piaceva anche prima. Posso fornire le prove: qualche giorno fa, quando ancora non si era scatenata la presente tempesta (o tempestina, per rimanere in ambito pastario) avevo scattato una foto ad alcune confezioni dell’azienda di Benevento, postandola sui social ieri mattina, ancora ignaro di boicottaggi e polemiche. Sì, proprio su quei social che sono croce e delizia, fortuna e iattura di tante persone e marche. Come mai? Non essendo un influencer pagato per pubblicizzare prodotti, era un post disinteressato. O, meglio, mosso da interessi non economici bensì estetici e gastronomici.
A me le confezioni della Pasta Rummo piacciono moltissimo: la grafica old style, i colori caldi che si armonizzano col legno del mio tavolo di cucina (sul quale ho scattato la foto), i caratteri d’epoca, la carta gradevolmente ruvida come a ricordare l’opportuna ruvidezza (per trattenere il sugo) di paccheri e penne... E quel carro trainato da cavalli che, leggo sul sito, sono i tre cavalli con cui nell’Ottocento i Rummo trasportavano il grano dalla Puglia a Benevento. Insomma, per un conservatore che porta la cravatta, per un conservatore estetizzante quale io sono, simili etichette esprimenti tradizione, storia, famiglia, cura formale e qualità sostanziale rappresentano un piacere in sé oltre che una promessa di piaceri futuri: al momento del pranzo e della cena, ovvio.
Ma com’è possibile che bellezza e bontà siano oggetto di attacchi così virulenti? Può bastare la visita agli stabilimenti di un ministro sgradito? Purtroppo può bastare. Una volta si diceva che il cibo accomuna ma evidentemente erano tempi meno fanatici. Tutto divide, oggi in Italia. Ci si scanna pure sui rigatoni. Ma forse sto, stiamo esagerando, forse sto, stiamo dando troppa importanza a fenomeni numericamente esigui, alle minoranze rumorose che ululeggiano su X (Twitter) e che invitano a boicottare una delle poche industrie di una regione, la Campania, afflitta da un tasso di disoccupazione doppio rispetto alla media nazionale (e quadruplo rispetto al Veneto). Questo non so se chiamarlo sadismo o masochismo visto che fra gli odiatori della Rummo ho notato alcuni sudisti, ovviamente sudisti attardati, legati al ricordo della Lega antimeridionale di Bossi. Persone che vivono ancora negli anni Ottanta. Ma soprattutto ho visto dei sinistri, dei sedicenti antifascisti e dunque persone che vivono mentalmente negli anni Trenta.
Gente talmente poco lucida da confondere Salvini con Mussolini.
A proposito: una delle accuse mosse più di frequente alla Pasta Rummo è quella di non usare soltanto grano italiano.
Ma l’autarchia non era uno slogan del Duce? C’è davvero qualcuno che vuole ingaggiare un’altra battaglia del grano per raggiungere l’autosufficienza alimentare? Studiassero la storia: nemmeno il fascismo la raggiunse, pur impiegando all’uopo tutti i mezzi possibili e immaginabili, appunto i mezzi di una dittatura. Studiassero l’economia, l’agricoltura, l’aritmetica: oggi Italia si produce poco più della metà del grano duro occorrente. E allora un pastaio per rabbonire Twitter cosa dovrebbe fare? Dimezzare la produzione e conseguentemente licenziare metà dei dipendenti?
Mi consola sapere che i Rummo hanno superato, nei 178 anni della loro storia, momenti ben peggiori: incendi, terremoti (dalle loro parti un classico),
inondazioni (quella terribile del 2015)... Supereranno benissimo anche questa e io concludo qui perché dalla cucina mi avvisano che è pronto. Vi dico soltanto il formato: sono ziti, il mio preferito. Tanto la marca la sapete già.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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