Sollecito di nuovo in aula: "Sono un perseguitato"

"Non sono un assassino. Ma non ho più una vita reale"

Sollecito di nuovo in aula: "Sono un perseguitato"

Roma - «Amanda è stata il mio primo vero amore, un fiore sbocciato all'improvviso. Era una piccola favola». Raffaele Sollecito racconta, con le lacrime agli occhi, come quel sogno si è poi trasformato in un incubo nell'autunno 2007, proprio mentre a Perugia viveva la prima storia importante con la giovane americana, oggi imputata con lui per l'omicidio di Meredith Kercher. Il giovane, di ritorno da una lunga vacanza a Santo Domingo, ieri ha partecipato alla prima udienza davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Firenze, dove è in corso il processo bis per la morte della studentessa inglese. Tra parole dolci per l'ex fidanzata e critiche dure per gli inquirenti, Sollecito (che da ieri non è più contumace, al contrario della Knox rimasta negli Stati Uniti, ndr) ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee, dopo aver assistito ad una piccola vittoria. La perizia dei Ris sul coltello sequestrato nella sua abitazione conferma l'assenza di tracce genetiche riconducibili a lui, a Meredith e a Rudy Guedé. L'unico dna, trovato fra l'impugnatura e la lama del coltello, avrebbe invece notevoli affinità con il profilo genetico della Knox. «L'udienza di oggi dimostra ciò che c'è: cioè nulla - commenta l'avvocato Giulia Bongiorno, legale dell'imputato -. Il coltello presentato come l'arma del delitto è in realtà uno di quelli che Amanda usava in cucina a casa di Raffaele». «Mi hanno descritto come un assassino spietato ma io non sono nulla di tutto questo - dice l'imputato -. Quando ho conosciuto Amanda avevamo 20 anni e c'era tutto nella nostra mente fuorché una visione di disprezzo dell'essere umano. Ora sto battagliando tutti i giorni». Il giovane parla senza mezzi termini di «persecuzione allucinante» e di una vita spensierata che è un ricordo. «Sono cresciuto in una famiglia italiana perbene - dice Sollecito - che mi ha allevato con il massimo del rispetto dei valori. Non mi è mai piaciuto l'alcool, non andavo alle feste, mi sono fatto qualche spinello, ma questo non ha cambiato la mia personalità».

Parlando a voce bassa e con molta calma, analizza poi le presunte prove che, a suo avviso, sono crollate una dopo l'altra. Parla dell'«illusione del coltellino a serramanico», di testimoni «sbugiardati» e infine sottolinea la vicenda dell'impronta della scarpa, per mesi considerata prova regina contro di lui. «Mi ha fatto guadagnare sei mesi di isolamento - dice - prima che si scoprisse che apparteneva a Guede». «Più si approfondiscono gli elementi del processo - lo sostiene papà Francesco - più non ci sono margini per l'accusa. La verità sta emergendo. La Corte è molto concrete. Mi stanno dimostrando che posso avere fiducia nella giustizia italiana». E Raffaele visibilmente commosso, lancia un appello alla Corte: «Vi prego giudici di considerare il grosso sbaglio che è stato fatto». Ma la sua performance non convince la difesa. «Siamo abituati a queste dichiarazioni che Sollecito ci ha regalato negli anni - commenta l'avvocato Francesco Maresca, legale della famiglia di Meredith -.

La cosa importante oggi è che la perizia ha confermato quello che noi sosteniamo da sempre: quel coltello è stato nelle mani di Amanda Knox». La sentenza potrebbe arrivare già il 10 gennaio prossimo, mentre per ora il processo è aggiornato al 25 novembre.

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