Oro, sante e mosaici per nuove principesse

Regina, principessa, santa o Madonna: in ogni caso la creatura che ha sfilato ieri per Dolce & Gabbana è il massimo sotto tutti i punti di vista, un sogno realizzato tra bellezza e femminilità. Come se questo non bastasse i due stilisti con la grandiosa collezione del prossimo inverno esaltano le eccellenze del nostro Paese: il patrimonio artistico e culturale, la sapienza artigianale, il buon gusto nel Dna.
La sfilata comincia con una serie di modelli meravigliosi decorati da incredibili riproduzioni dei mosaici del Duomo di Monreale. I piccoli disegni d'incantevole esattezza sono stampati su seta, tramati nel broccato, illuminati da preziosi ricami in filigrana e cristalli: un lavoro certosino. Quasi tutte le modelle hanno la corona in testa perché il magico duo giustamente sostiene che il sogno femminile per eccellenza è diventare principessa o regina. Il dettaglio serve a costruire l'immagine di passerella ma anche a far riflettere sulla reale necessità di riportare il sacro nella femminilità, un po' di sana devozione alla bellezza.
Ecco quindi oltre ai mosaici riprodotti perfino sui tacchi delle scarpe e sulle astine degli occhiali da sole, i gioielli fatti come ex voto e la borsa Agata dedicata alla Santa protettrice di Catania citata anche nel bustino in filigrana d'oro tempestato di pietre dure. Nella parte centrale della sfilata l'immagine viene distillata in una serie di capolavori sartoriali sotto forma di cappotti, tubini e tailleur nel tessuto maschile per eccellenza: lo spigato. Poi sulle struggenti note delle migliori colonne sonore di Nino Rota esplodono i capi in un punto molto speciale di rosso: tra il velo di Sant'Agata e la lava dell'Etna. Sul bianco e nero, l'alfa e l'omega dello spettro cromatico, si basa una delle tante semplificazioni volute da Massimiliano Giornetti per dare alla collezione Ferragamo del prossimo inverno un nitore architettonico. Infatti le forme sono davvero ridotte all'osso: minigonne a portafoglio, grandi e lussuosi maglioni tagliati a felpa (quello di mohair con anima in cashmere può essere descritto come mille piani di morbidezza), sottili pantaloni maschili e stupendi capispalla sartoriali.
Stupefacente la ricerca sui materiali per cui un'elegantissima mini è stata tessuta in filo da pesca, un'altra ha gli aculei di jais e le lenze di nylon su lana danno l'effetto cavallino. La cosa più sorprendente sono comunque gli accessori su cui il bravo stilista toscano ha fatto un encomiabile lavoro di ricerca trovando nuove forme (gli stivali di vernice con tasselli aperti sul piede, per esempio) o reinventando quelle d'archivio.
La vera sorpresa della giornata arriva con la sfilata di Marco De Vincenzo, un giovane siciliano che oltre a lavorare nell'ufficio stile di Fendi a Roma, disegna e produce la collezione che porta il suo nome. «Sono andato a scovare i laboratori artigianali in cui nascono le cose» spiega poco prima di far sfilare i suoi sublimi modelli con il motivo della graniglia dei pavimenti stampata e poi plissettata da un artigiano che riesce a fare le pieghe a canna d'organo anche sui cappotti in pelle.
Nel biellese ha trovato chi può dare al tweed l'effetto marmorizzato, a Como chi stampa la seta come un bassorilievo romano e a Cremona chi riesce a ricamare con 7.

500 punti a macchina il montone intarsiato di vernice nera e alpaca. Un po' troppo scolastica la rilettura di Genny da parte del pur bravissimo Gabriele Colangelo. In ogni caso mantelle e cappotti definiti da un curioso gioco con la martingala avevano il senso della modernità.

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