Pitti e la crociata anti sciatteria «Basta, vestitevi come si deve»

«Ha ragione Ernesto, è uno scandalo, meno male che l'avete scritto almeno voi» dicevano gli addetti ai lavori della moda ieri mattina all'ingresso della Fortezza da Basso di Firenze dove è in corso l'edizione numero 84 di Pitti Immagine Uomo. Qualcuno è venuto a stringerci la mano e ci voleva addirittura offrire il caffè dopo aver capito per quale testata lavoriamo. Infatti, sulla prima pagina del nostro Giornale c'era un articolo firmato Ernesto sotto il titolo «Basta stile da dopolavoro rimettetevi la cravatta» e sopra alla foto dei capi di Stato e di governo al vertice del G8 con la camicia slacciata sul collo, la giacca ciancicata e i calzoni senza aplomb.
«Si è informali nella testa prima che nell'aspetto» dice Antonio De Matteis, amministratore delegato di Kiton, nobile marchio specializzato nell'arte sartoriale napoletana. Secondo il manager sono infatti i giovani a richiedere gli abiti formali che hanno proporzioni più asciutte su gambe e maniche, nuove mischie di tessuto (inarrivabile per bellezza e costo quella di cashmere e vicuna) ma in ogni caso prevedono l'uso della cravatta. «È anche l'accessorio più sexy che un uomo possa usare» conclude chi ne indossa una sensazionale: a semplici pois bianchi sul giallo becco d'oca che sfuma quasi nell'arancio. «Le cravatte non devono mai superare i 5/6 centimetri: quelle larghe non si usano più - sostiene Marco Baldassarri, stilista e socio fondatore del marchio Eleventy - quanto alle giacche non ci sono scuse per la sciatteria: il nostro modello Business in lana bi-stretch è ingualcibile, indeformabile, pesa 220 grammi e al pubblico costa 400 euro anche nel caso del modello doppiopetto che richiede un sacco di stoffa». Inutile chiedersi come mai il fatturato di Eleventy sia passato in sette anni da zero a 12 milioni di euro e, dopo aver aperto negozi monomarca a Milano, Viareggio e Seul siano sul punto di aprirne altri tre nella megalopoli coreana e uno a Curmayeur entro Natale. Secondo Stefano Scuderi presidente e titolare del brand eponimo: «Si può anche stare senza cravatta, l'importante è che ci sia una giacca fatta benissimo». Quelle di Scuderi sono piccoli capolavori: intelate, costruite con molti passaggi a mano, perfettamente calibrate nel peso e con una bella sinfonia di azzurri per la la prossima estate. «Se fossi Enrico Letta mi vestirei con un abito di cotone giallino oppure blu chiaro come quello di certi punti del mare intorno a Capri» dichiara Gianluca Isaia, presidente del brand partenopeo che ha per simbolo un ramo di corallo portafortuna. C'è proprio questo stampato nel sottocollo delle giacche, con una sorta di motivo mimetico che lui spiritosamente definisce «Coralflage» invece di Camouflage. E visto che la collezione è dedicata alla canzone napoletana con divertenti calembour per cui la tarantella diventa «tar(t)antella» nel caso delle fantasie scozzesi (tartan), nello stand c'è una colonna sonora eseguita dal vivo con chitarra e mandolino. Da Lardini dove l'argomento del giorno sono in juta (fibra naturale biodegradabile e riciclabile), si parla dell'abito da cerimonia, massima espressione del formale perché solo un cretino potrebbe andare all'altare in jeans e non parliamo della donna che lo sposa.

«È un business in evoluzione che risente meno la crisi» spiega Luigi Lardini mostrando la giacca da smoking in shantung di seta blu totalmente sfoderata, con bottoni ricoperti e revers sciallati in colori a contrasto. «Ringrazi Ernesto, chiunque sia» concludono in coro gli espositori del salone che per via del clima fiorentino sembra l'inferno dantesco, girone modaioli.

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