Il Ppe attacca ma senza Forza Italia non può vincere

Per entrare nel derby italo-tedesco aperto dalle parole di Berlusconi sui lager, Jean Claude Juncker ci ha messo tre giorni. E, se avesse potuto, ne avrebbe fatto volentieri a meno. Perché il futuro del candidato alla presidenza della Commissione europea per il Partito popolare è sospeso tra l'incudine della Merkel e il martello di Forza Italia.
La cancelliera gli ha promesso il suo appoggio, aprendogli la strada alla poltrona di Bruxelles. In altri tempi sarebbe bastato. Ma questa volta le cose sono un po' più complicate: con le elezioni del 25 maggio (...)

(...) si applica il trattato di Lisbona del 2007. E per la prima volta il Consiglio Europeo (in pratica i Paesi membri della Ue) nello scegliere il candidato alla presidenza, deve «tenere conto» del voto popolare. Per questo tutti i gruppi hanno presentato i loro candidati di riferimento. E arrivare primo nelle urne, potendo schierare il seguito più numeroso in Parlamento, equivale a una pole position per la nomina più alta. Per ora i sondaggi lasciano intravedere un testa a testa. Secondo le cifre di Poll Watch i popolari prenderebbero circa 220 seggi e i socialisti 200. Ballano una ventina di deputati, più o meno quelli che Forza Italia ha oggi a Bruxelles e che potrebbe riportare in Parlamento. I voti italiani sono dunque preziosi e una eventuale uscita del plotone forzista dal gruppo popolare diventerebbe rischiosissima per le ambizioni del lussemburghese. A rendere ancora più accidentato il percorso è un altro elemento: la Merkel ha sì sposato la candidatura Juncker, ma interpreta in modo riduttivo la novità del trattato di Lisbona. «Tenere conto» del voto popolare, ha in pratica fatto sapere, non significa farsi dettare la scelta dal Parlamento. I giochi, dunque, non sono ancora fatti. Nessuno dei due candidati favoriti (l'altro è ovviamente il socialista Martin Schulz) raggiungerà la maggioranza assoluta, 370 e passa deputati, necessaria per l'elezione. Saranno indispensabili intese tra i vari gruppi e un'ipotesi è che al momento giusto la Cancelliera tiri fuori un nome nuovo da proporre al Consiglio europeo. Il jolly sarebbe pescato tra gli esponenti del gruppo vincente, in modo che la Merkel possa dire che è stato rispettato il voto popolare, scegliendo allo stesso tempo un uomo a lei più vicino. Juncker non la entusiasma né fa felici i fanatici del rigorismo monetario. Nessuno dimentica che nelle fasi calde della crisi il lussemburghese sposò la tesi degli eurobond caldeggiata da Tremonti. Una specie di anatema per l'establishment berlinese. E non è un caso che prima che la scelta dei popolari cadesse su Juncker i giornali tedeschi fossero pieni di maliziosi riferimenti a una debolezza dell'ex premier lussemburghese: una spiccata predilezione per birra e vino su cui si spettegola da tempo nei palazzi di Bruxelles. Tra tutti questi condizionamenti deve barcamenarsi il candidato dei Popolari: deve tener buona la Merkel, cercare di non rompere con gli italiani, non offrire argomenti all'avversario Schulz, con cui è impegnato fino al giorno del voto in una impegnativa serie di dibattiti.

Quanto a quest'ultimo sta conducendo una campagna che molti osservatori giudicano grigia e incolore. Il riaccendersi della polemica con Berlusconi gli ha restituito un attimo di insperata visibilità.

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