Un premier targato Bankitalia per ripianare il buco di Monti

La Ragioneria generale sospetta che entro giugno serva una manovra da 14 miliardi. E Napolitano sta pensando al governatore Visco per rassicurare i mercati

Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco
Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco

Nell'ubriacatura grillista che ha pervaso l'Italia, spetterà presto ai numeri il compito ingrato di riportarci con i piedi per terra: entro la primavera il prossimo governo, di qualunque colore sia, dovrà mettere in piedi una manovra aggiuntiva da 14 miliardi di euro almeno. In questi giorni alla Ragioneria generale dello Stato stanno facendo e rifacendo i conti, ma il risultato è sempre lo stesso: il buco ereditato da Monti c'è, ed è grosso. Del problema è stato avvisato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ed è per questo motivo che al colle si lavora per un'alternativa tecnica al governo di minoranza che sembra l'unica, debolissima carta nelle mani di Pierluigi Bersani. E il Capo dello Stato ha anche un nome in testa: quello del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco.
Il presidente della Repubblica ha ribadito esplicitamente, nel bel mezzo della tempesta sul Monte dei Paschi di Siena, di avere «piena fiducia» nella banca centrale. E secondo persone ben informate, Napolitano avrebbe già sondato il governatore, che in realtà non sarebbe entusiasta di un incarico politico e breve scadenza (tutt'al più un anno e qualche mese, fino alle elezioni europee del 2014). Ma al capo dello Stato, che è stato il suo sponsor per la successione a Mario Draghi alla guida della banca centrale, Visco non può dire di no. Nel disegno quirinalizio, il governatore avrebbe il compito di rassicurare i mercati - che hanno dato già forti segnali di insoddisfazione per l'esito del voto e d'ansia per le sorti del Paese affidato a un Bersani decotto, con la stampella occasionale dei grillini - oltre che, ovviamente, fare la manovra in primavera, e possibilmente qualche altra correzione dei conti in autunno.
Ma non è solo la manovra a preoccupare. A partire da questo mese si scatena uno tsunami fiscale di imprevedibili proporzioni: arriva il redditometro, poi le dichiarazioni Irpef, quindi la prima rata dell'Imu (uguale a quella, maggiorata, di dicembre), la nuova imposta sui servizi di nettezza urbana Tares, retroattiva dal 1º gennaio; e infine l'aumento dell'aliquota ordinaria dell'Iva, dal 21 al 22%. Solo un tecnico, per di più banchiere centrale, può sottrarsi alle pressioni per una tregua tributaria. Così, di questo scenario non fanno parte la riduzione dell'Imu (figuriamoci la cancellazione, sebbene limitata alla prima casa), la rinuncia all'aumento dell'Iva dal 1º luglio, o sgravi Irap di qualsiasi dimensione. L'impegno di pareggio di bilancio alla fine di quest'anno, preso con l'Unione europea, non consentirà di allentare la morsa. Le ultime stime del Fondo monetario internazionale, datate 23 gennaio, vedono il Pil 2013 in calo dell'1%. La Commissione europea prevede un deficit del 2,1% sul Pil, e un debito ancora in aumento, al 128,1%.
Visco non avrebbe dunque grandi margini per mettere in atto il «disegno organico per il futuro e per i giovani» di cui ha parlato in un recentissimo colloquio con il direttore del Sole24Ore. Del resto, nella stessa intervista, ha chiarito che «l'equilibrio dei conti pubblici è la precondizione per il successo: l'incertezza sui mercati finanziari riduce la fiducia, disincentiva l'investimento e l'innovazione». Ma, come s'è detto, difficilmente potrebbe sottrarsi a un obbedisco!, se questa fosse la decisione di Napolitano. Stiamo parlando di ipotesi, certo, ma i precedenti (Lamberto Dini e Carlo Azeglio Ciampi) inducono a ritenere che non si tratti solo di fantasie. Nella girandola di voci che corrono in queste ore, c'è anche quella che vorrebbe il governatore Visco attirato da Quirinale più che da Palazzo Chigi. Ma qui siamo probabilmente nel campo delle fantasie. In ogni caso, Visco non è il solo alto dirigente della banca centrale coinvolto nel totonomine. Il direttore generale Fabrizio Saccomanni dispone di non pochi supporter. Uno di loro è Romano Prodi, che in queste settimane sta giocando la sua partita per il Quirinale. Prodi avrebbe voluto Saccomanni nel primo board della neonata Bce, ma alla fine gli venne preferito Tommaso Padoa-Schioppa.

Prima del voto, quando il Pd veniva dato per strafavorito, era stata attribuita a Bersani l'idea di un Saccomanni all'Economia, sottratta alle grinfie di Stefano Fassina, visto malissimo dai mercati. E ancora ieri, l'ex vicepresidente della Confindustria Guidalberto Guidi ha detto: «Vedrei bene Saccomanni come premier».

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