In una prima fase i partiti giravano di notte, mascherati. Non si facevano vedere insieme. La dittatura commissaria eurotecnica procedeva a colpi di voti di fiducia su provvedimenti ratificati nel gran consiglio, nei summit dell’Unione, alla Bce di Francoforte, previa consultazione. Sbrigativa, anche. «Che ne pensate? Vi piace? Se vi piace, bene, se no, pazienza. Noi tireremo diritti». Si era capito subito che questi lavoravano all’ingrosso, facevano cose che anche il precedente governo aveva fatto o impostato, e che erano da decenni parte del programma riformista di ogni governo serio. Anzi, anche di quelli poco seri come il Prodi due o il Berlusconi tre. Si era capito subito che Monti era un tipo a posto o quasi, che aveva ambizioni superiori a quelle di un giro a palazzo per poi farsi un tour elettorale, che lo spread dipendeva fino a un certo punto dalla scarsa credibilità internazionale dell’Italia (leggi: risate di Merkel e Sarkozy, e carnevalata antiberlusconiana di sostegno). Lady Spread poteva scendere per via del riformismo forte e non concertativo della tecnocrazia installata a Roma, poteva scendere perché Mario Draghi innaffiava le banche di liquidità e, allora, comprava qualche titolo di Stato. Ma non era mai stato Berlusconi da solo il problema, la questione del modello su cui si era costruito l’euro era quella decisiva, era arrivata la stretta dei mercati e della Germania sui Paesi ad alto debito e a bassa crescita, l’Unione non garantiva la sua moneta, la Banca centrale non difendeva i titoli espressi in euro dichiarandosi prestatore di ultima istanza, l’Europa era una serie di Paesi diseguali e nel mercato mondiale ognuno doveva farcela da sé, senza svalutare, e dunque noi e altri eravamo chiamati a pagare, pagare, pagare il debito pubblico per non finire come la Grecia, e la recessione inevitabile da austerità era ed è una delle modalità di pagamento, la peggiore e la più insana e la più autolesionista per tutti, ma quello era ed è.
Ora siamo allo sportello delle tasse, alla restrizione del prodotto interno lordo, i media rilanciano l’Italia del suicidio di imprenditori e lavoratori, l’immagine e la realtà della botta si confondono in un’inevitabile dilagare della pietà per noi stessi, anche giusta, che però si fa subito indulgenza,ricerca di una via d’uscita: un tanto ai sindacati per la aborrita libertà d’impresa (articolo 18), un tanto agli imprenditori per l’agognata flessibilità in entrata, e mesi di concertazione dissimulata producono lentezza del commissario, incrinatura delle sicurezze riformatrici, un clima da impaludamento che coincide con la perdita dello stato di grazia dell’esecutivo dopo i cento e più giorni. Ci siamo, via, Repubblica è all’opposizione beata, vuole vendette sociali e televisive, vuole un governo di sinistra eterodirigibile a Palazzo Chigi; i manettari arrestano e smerdano ulteriormente politica e affarismo, Grillo fa comizi per prendere il posto di Bossi, le opposizioni sono imbrigliate, la maggioranza di divisione nazionale esce allo scoperto e fa campagna elettorale con largo anticipo. Ci siamo, è il revival, il festival, e lo chiamiamo ritorno alla politica.
Ci siamo, ma dove siamo? Da nessuna parte. Non c’è strategia a sinistra, solo trucchi e pragmatismi demagogici alla Bersani. Non c’è una politica a destra, Berlusconi se ne sta quieto sotto lo scudo di Monti, che non ha dato le soddisfazioni cercate ai suoi nemici e persecutori, e intanto il Pdl fa quel che può, cioè poco. Riforme elettorali che traballano, misure costituzionali ovvie ma chissà. Misure sul finanziamento della politica, e chissà pure quelle.
Ma ci sono le condizioni per un ritorno alla politica che abbia un significato? Che ci faccia fare un passo avanti rispetto ai governi che non governano e alle opposizioni che non ce la fanno a sostituirli? Siamo in grado di aggredire le cose, sul piano europeo e mondiale, guidando di nuovo in nome del popolo sovrano un’Italia indipendente e capace di curare le sue malattie? Secondo me no. Sono pessimista. Il 2013 a oggi mi sembra un incantesimo, roba da maghi e astrologi. Spero di sbagliarmi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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