La proposta Per rilanciare il settore

«Propongo un tavolo di discussione a casa mia con Giorgio Armani, Miuccia Prada, Frida Giannini, Domenico Dolce e Stefano Gabbana. Siamo i cinque nomi che tengono in piedi il calendario delle sfilate di Milano: ci vuole una strategia concordata tra noi per provocare la svolta necessaria alla moda italiana». Donatella Versace butta una bomba atomica nel bel mezzo di una pacifica colazione con la stampa quotidiana. Per un attimo si resta lì, con la forchetta a mezz'aria, come aspettando di sentirsi dire che sei su Scherzi a parte. Qualcuno tenta di buttarla sul ridere chiedendole cosa farebbe se con la signora Prada venisse anche il marito, dotato di un carattere fumantino. «Sarei felicissima - risponde la bionda signora del made in Italy - adoro Bertelli, trovo sia molto intelligente e simpatico. E poi basta con le divisioni vere o presunte che siano: dobbiamo fare squadra e cambiare velocemente rotta, stiamo rischiando di mandare alla deriva un patrimonio comune». Dire che Donatella ha ragione è poco: qualche giorno fa è stato presentato il programma della prossima fashion week milanese (dal 20 al 26 febbraio) con l'immancabile corollario di polemiche. «Gli stilisti sono genio e sregolatezza, quando è il momento di sfilare coltivino il loro genio e si dimentichino della sregolatezza» ha detto Mario Boselli, presidente di Camera della Moda Italiana. Inevitabili le rimostranze di Luisa Beccaria che si è vista cambiare d'ufficio l'orario del defilè per ben tre volte mentre altri chiedevano perché non si fanno iniziative dal respiro internazionale invece di litigare su queste noiose questioni. «La nostra moda sta perdendo di rilevanza nel fashion system internazionale - dice Donatella - ormai gli stranieri ci prendono in considerazione solo perché facciamo fatturato, ma non ci vedono come creativi che fanno tendenza. Bisogna valorizzare la creatività italiana. È la prima al mondo per stile, bellezza e qualità, ma questo non basta più. Oggi ci sono anche altri linguaggi, più moderni e universali dell'eccellenza produttiva. A Milano non si sente niente del genere». Dunque la colpa è della città? «La città è fatta dai cittadini e dalle istituzioni - risponde DV - ciascuno si assuma le sue responsabilità. Io tutte le mattine davanti allo specchio mi chiedo se ho fatto abbastanza per modernizzarmi. Non è tanto una questione di età, ma chi lavora nella moda lo deve fare, la moda si nutre di cambiamenti. Nelle altre città si respira un'aria diversa. Tra una settimana vado al cocktail d'inaugurazione delle sfilate di Londra offerto dalla signora Cameron al 10 di Downing Street. Non è la prima volta: sono stata invitata anche in forma privata perché ho sempre appoggiato i giovani designer inglesi. Farei lo stesso anche per gli italiani, ma certo vorrei che le cose cambiassero». Come? Donatella snocciola ipotesi più che sensate tipo nominare un amministratore delegato che gestisca Camera Moda come un'azienda.

A noi in separata sede confida che le piacerebbe molto Andrea Guerra, classe 1965, amministratore delegato di Luxottica. A tutti ripete il suo appello: aspetto Giorgio, Miuccia, Frida, Domenico e Stefano per fare il punto della situazione. Prima che sia troppo tardi.

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