Il retroscena

RomaDi nuovo la minaccia del voto. Di nuovo «la spina» che torna a «staccarsi» se le cose non cambiano. Le cose, allo stato dell’arte leghista, sono le commissioni parlamentari da cui devono passare i rimanenti decreti del federalismo fiscale, e forse tornare - in un’ipotesi nemmeno così remota - quello appena emanato dal governo, dopo il misunderstanding con il Colle. Dal federale di via Bellerio è uscita rafforzata la linea Calderoli, opposta a quella di Maroni (che sta prendendo le distanze dalla gestione pasticciata delle ultime settimane). Il voto serve come spauracchio ma resta un’eventualità non primaria, almeno per il segretario federale e un cerchia di fidati.
Il primo interesse di Bossi, ora, è portare a termine il federalismo, come risultato «bandiera» per i giorni a venire. Ma per non essere preda di ricatti e veti dall’opposizione, come successo giovedì scorso, è vitale aggiornare la composizione delle commissioni, su tutte la Bicamerale, che attualmente non rispecchia i rapporti di forza del Parlamento. La Lega sta facendo leva su un precedente. Il presidente della Camera ha dato il via libera, mesi fa, alla proposta di Bocchino (suo capogruppo...) di modificare la composizione della delegazione parlamentare al Consiglio d’Europa, per aggiornarla rispetto alla nascita di Fli (un fatto analogo si era registrato solo nel ’94, dopo una scissione ben più pesante, il ribaltone della Lega...). A questo punto, ragionano i leghisti, Fini non può dire di no alla richiesta di fare altrettanto con le commissioni che non tengono conto dei nuovi gruppi. «Se si è in condizione di poterlo fare siamo della partita - spiega Calderoli -, se siamo di fronte a un’oggettiva impossibilità tanto meglio staccare la spina». Subito dopo però il ministro bergamasco corregge il tiro e cancella il riferimento al possibile siluramento della maggioranza: «Come accade spesso ultimamente dici fischi e poi trovi scritto fiaschi. La Lega Nord ha come obiettivo la realizzazione delle riforme e lo stare al governo rappresenta lo strumento proprio per raggiungere questo obiettivo: le riforme. Il federalismo fiscale, nonostante i tentativi di spallata al governo per scavalcare le elezioni in primavera, andrà in porto nel giro di un paio di mesi. Però occorre avere la maggioranza anche nelle commissioni parlamentari: ottenuta questa maggioranza l’obiettivo è il 2013, con una legislatura che sia costituente. Diversamente viene meno l’obiettivo».
Anche di questo parlerà Bossi, domani, nell’incontro al Quirinale con Giorgio Napolitano, cui verrà sottoposta - così raccontano fonti leghiste - anche la possibilità di far tornare il testo sul fisco municipale in Bicamerale, una volta ristabilite le proporzioni eque. La Lega, quella dei militanti, ha vissuto con un po’ di fastidio il pasticcio sul decreto. Calderoli, il leghista più esposto su quel fronte, ci tiene a ribadire la validità della scelta di forzare i tempi. E lo fa riferendo la decisione al capo, da lui consigliato: la scelta di Bossi di non sfiduciare il governo dopo il pareggio «è stata una scelta di buon senso» perché «dopo 30 anni di battaglie», mancano «solo due mesi per portare a casa il risultato», e allungare di 1-2 settimane non cambia molto.

Andare al voto adesso, senza federalismo e con solo molto tempo perso, non conviene alla Lega.
Meglio aspettare, cercando di ottenere garanzie precise da Berlusconi (ieri la cena ad Arcore). Intanto però il Carroccio freme dalle fondamenta. E Maroni, con le sue truppe, osserva e aspetta...

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