Tic-tac, tic-tac. La si potrebbe scandire così, con la regolarità di un orologio, la frequenza con cui ogni giorno, inesorabilmente, un paio di innocenti finiscono in galera. È una delle emergenze della giustizia italiana, uno dei fronti su cui il ministro Carlo Nordio ha promesso di intervenire più in fretta possibile: è il dramma delle manette facili, degli «ordini di custodia cautelare in carcere», come si chiamano tecnicamente i mandati di cattura, spiccati contro gente che non ha fatto niente di male. Ogni giorno, in attesa che il progetto di Nordio diventi realtà, uno o due innocenti finiscono in cella. Con la stessa regolarità, cresce il conto dei danni che lo Stato dovrà pagare a chi è stato chiuso in carcere ingiustamente: il conto totale, dal 1991 ad oggi, si avvia a superare il miliardo di euro. Miliardo.
Il rimedio inserito dal ministro Nordio nel suo pacchetto di riforme si articola su due punti: l’obbligo per il giudice di interrogare l’indagato prima di mandarlo in prigione, e l’affidamento della decisione a un collegio di tre giudici anziché a un magistrato singolo.
Che possano essere sufficienti a cambiare le cose è tutto da vedere, la certezza per ora è che dall’Associazione nazionale magistrati è partito il consueto fuoco di sbarramento. Così, in attesa che il progetto Nordio inizi il suo cammino parlamentare, tutto continua come prima: tic-tac. I dati sono impressionanti. A partire dal numero totale dei mandati di cattura, 24.654 nel 2022, e ancora in crescita.
Una miriade di manette evidentemente mal distribuita, visto che non ha attutito l’emergenza criminale in ampie zone del paese. Che fine fanno, questi arrestati? Incrociando i dati sulle ordinanze di carcerazione e sulle sentenze emesse nello stesso anno, si scopre che più del sei per cento degli ammanettati vengono assolti (il 6,6, per l’esattezza). Potrebbero sembrare pochi. Ma sono centinaia di vite devastate da provvedimenti che hanno scambiato per «gravi indizi di colpevolezza» quelle che prove non erano. E non è tutto: al conto andrebbero aggiunti anche quelli che poi sono risultati colpevoli, ma che in carcere non avrebbero comunque dovuto finirci perchè avevano diritto alla sospensione condizionale. Per legge, in questi casi non si potrebbe disporre il carcere preventivo: ma la legge non viene applicata, così nel 2022 ben 710 cittadini che erano finiti in cella vengono condannati con la condizionale. Intanto si sono fatti il carcere gratis.
Di questa gestione allegra delle manette il conto economico viene poi rifilato sulla intera collettività. I dati sul risarcimento per ingiusta detenzione sono disarmanti. Nel solo 2022, lo Stato ha dovuto pagare alle vittime di questi errori giudiziari più di ventisette milioni di euro. Anche questo è un dato che si può scandire, in attesa della riforma Nordio, con il ritmo regolare dell’orologio: tic-tac, anche domani 75mila euro dovranno uscire dalle tasche degli italiani per colpa degli arresti facili. Si può obiettare che una quota di errori è fisiologica? No, perchè se così fosse il dato sarebbe distribuito in modo più o meno omogeneo. Invece ci sono realtà d’Italia dove il carcere ingiusto raggiunge livelli demenziali. È il caso di Reggio Calabria e in parte di Palermo. In un contesto in cui nessun tribunale (neanche quelli grossi, tipo Milano e Roma) costringe lo Stato a pagare più di due milioni di euro di risarcimenti, a Palermo il conto per il 2022 è di tre milioni e mezzo; a Reggio Calabria, addirittura di dieci milioni. Ma come l’arrestano, la gente, a Reggio?
La domanda è destinata a restare senza risposta, perché neanche di fronte a queste macroscopiche anomalie il sistema di controllo delle performance della nostra magistratura ha dato risultati confortanti.
In teoria c’è un comma dell’ordinamento giudiziario che prevede la responsabilità disciplinare del magistrato che «per negligenza grave ed inescusabile» emette «un provvedimento restrittivo della libertà personale fuori dai casi consentiti dalla legge». Ma, a quanto pare, le centinaia di carcerazioni immotivate non sono nè gravi nè inescusabili, visto che nessuno dei magistrati che le ha disposte è stato chiamato a risponderne. Ad attivare la procedura disciplinare possono essere il procuratore generale della Cassazione e il ministro della Giustizia. Ebbene: il primo lo ha fatto zero volte nel 2020, una nel 2021, nessuna nel 2022. Il ministro grillino Alfonso Bonafede ci provò ventuno volte nel 2020, arrivarono al Csm e lì si sono fermate.
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