Da Ruby alla mafia, le bugie di "Repubblica"

Vi ricordate Ruby? Ormai è un tema d’altri tempi. Come la cocotte di Guido Gozzano. Ma Repubblica ritorna sul luogo del delitto

Da Ruby alla mafia,  le bugie di "Repubblica"

Si riuniscono Qui Quo Qua e decidono di cambiare la legge elettorale. Ci sono tanti modi di farlo. Ma una sola, inequivocabile, è la richiesta degli elettori: poter scegliere il loro deputato. Tutto la riforma prevede, meno che questo. È escluso il ritorno alle preferenze, e sono previste liste di candidati, bloccate, molto corte. Perfetto. Così si evitano sorprese, e i cittadini possono anche evitare di andare a votare, non fosse mai che scegliessero qualcuno che non corrisponde a quello che gli vogliono imporre.
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Il papa arriva a Cuba. Incontra il presidente Raùl Castro. La Repubblica osserva, con un velo di tristezza: «Accolto con una stretta di mano». Cosa si aspettavano? Una genuflessione o una bastonata? Due capi di Stato s’incontrano e si stringono la mano. Così fanno Obama e Monti. E, in generale, i caratteri riservati. Ma leggo che in una occasione precedente i due attori, le due prime donne, non gli esponenti del cattolicesimo e del comunismo, Wojtyla e Fidel, si abbracciarono. Un colpo di teatro. Oggi mancato dai due più freddini Joseph e Raùl. E capisco.
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Francesco Merlo, amico di Oliviero Toscani, scrive insensatezze sullo scioglimento del consiglio comunale di Racalmuto, la città di Leonardo Sciascia. Sa perfettamente che di mafia, a Racalmuto, non c’è traccia. E siccome gli anni passano e le situazioni mutano, tra la Racalmuto del 1956, con i silenzi, l’omertà e l’assenza dello Stato, e la Racalmuto di oggi, non è possibile trovare un punto di collegamento nella mafia. Persino Merlo, implicitamente lo ammette, citando una considerazione dell’epoca di Sciascia: «Questo è un paese di mafia, una mafia più di atteggiamenti che di fatti, benché i fatti, anche se rari, non si può dire che manchino, nella specie dei morti ammazzati». Ha, Merlo, notizia di morti ammazzati a Racalmuto negli ultimi 20 anni? Non di meno, ci tiene a concludere: «Tutto come allora è forse peggio, in un paese di 10mila abitanti dove l’unica cosa che si muove è la gente che se ne scappa via». Tanto che, ciò che resta è la «mafia dei pidocchi». Ma Merlo vuole che nulla cambi. Ed è contento che la sua Regione sia umiliata senza ragione. Cosicché non resiste nell’evocare, con Racalmuto, Salemi, cercando di far credere che anche lì la mafia ha continuato la sua azione criminosa. E ironizzando sull’ex sindaco Vittorio Sgarbi che non si era accorto - «mischinu!» (poveretto) - di essere «pupu in un teatro di mafia». Io, caro Merlo, mi sono accorto di tutto. Ma non potevo trasformare in realtà fantasmi, e in intimidazioni e condizionamenti i comportamenti politici garantiti dalla democrazia. A Salemi la «criminalità organizzata» non esiste. E l’unico «mostro» che è stato identificato, si chiama Pino Giammarinaro, fa politica da sempre (anche quando c’erano i sindaci di sinistra, e le cui giunte godevano del sostegno elettorale dei suoi consiglieri) e ha discusso anche con te, pubblicamente, in una serata di presentazione di un tuo libro a Salemi. La mafia non è quella che discute con te in un confronto pubblico. E però così la vuoi continuare a chiamare, per comodità. Io non sono affatto «mischinu!», ma non sopporto le ingiustizie. La mafia è un potere che ti ostacola; così non è accaduto a Salemi. E visto che alle prepotenze è giusto ribellarsi, dovremo spiegare ai lettori di Merlo perché, dal Corriere, di cui era editorialista, passò a La Repubblica, per farsi paladino di ovvietà. E di bugie. Semplicemente perché, invece che lui, nominarono direttore del Corriere Stefano Folli. Merlo si ribellò a un’ingiustizia. Dovremmo dirlo «mischinu»?
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Vi ricordate Ruby? Ormai è un tema d’altri tempi. Come la cocotte di Guido Gozzano. Ma Piero Colaprico ritorna sul luogo del delitto. La sua sintesi è illuminante: «Nella sua qualità di capo del governo, l’ultrasettantenne che regala buste di quattrini alle invitate ottiene - è questo che fa scattare l'accusa di concussione - una “utilità” non dovuta: la diciassettenne Ruby, fermata per un furto, e per essere una minorenne in fuga, è diventata libera di squagliarsela. Le telefonate di Berlusconi hanno raso al suolo il lavoro pulito delle volanti, lo scrupolo della procura dei minori, di chi cercava una comunità seria (dove dare un letto a una minorenne in difficoltà)». Andiamo con ordine. Uno: l’ultrasettantenne «regala», non paga, una prostituta; i regali si fanno alle amanti e alle mantenute, fattispecie diversa. Due: se Ruby fu fermata per furto andava trattenuta non per la notte ma anche nei giorni successivi. Andava forse trattenuta perché «minorenne in fuga»? E quante «minorenni in fuga» dai loro genitori, dovremmo trattenere? Tre: il lavoro delle volanti è pulito perché la telefonata è sporca? O la telefonata è la più alta garanzia della tutela che si invoca? Insomma, Ruby, trovato un letto, doveva stare per 4 ore, fino alle luci dell'alba, su una sedia in Questura? E perché, «fermata» nella notte e libera di giorno? Ma il capolavoro di Colaprico è la definizione «minorenne in difficoltà». Già, Ruby minorenne in difficoltà. Non lo era stata mai, come tante sveglie minorenni, se non in Questura.

Uscita dalla quale non era già più in difficoltà. Sarebbe interessante da studiare la necessità del fermo notturno su sedia, per qualche ora, fino all’alba. Da questa severa misura Berlusconi ha sollevato Ruby. Questa fu la sua «concussione».

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