Nelle Olimpiadi della giustizia civile, l'Italia è eliminata in batteria. E con il peggior tempo: 564 giorni per il primo grado, contro una media di 240 giorni tra i 34 Paesi dell'Ocse e i 107 giorni di quei secchioni dei giapponesi; quasi 8 anni per i tre gradi di giudizio, contro una media Ocse di 788 giorni e i 368 giorni della giustizia a cucù della Svizzera. Eppure noi e i cugini elvetici destiniamo la stessa quota del Pil, lo 0,2 per cento, al sistema giudiziario. Quindi non è questione di risorse.
A dirlo è l'Ocse, l'Organizzazione che raccoglie i Paesi sviluppati, democratici e di libero mercato. Quindi la Serie A del mondo, in cui noi, almeno nella giustizia, siamo in piena zona retrocessione. Con conseguenze anche economiche. La lentezza dei processi civili crea infatti un arretrato che il presidente del Senato Piero Grasso ricorda essere di «circa quattro milioni di pendenze nei vari gradi di giudizio», e che, come sottolinea il vicesegretario dell'Ocse Pier Carlo Padoan nel corso della presentazione al Senato del rapporto «Giustizia civile, come promuovere l'efficienza», «ha lo stesso impatto soffocante che ha il debito pubblico. È un fardello di cui dobbiamo liberarci», che indebolisce «la capacità del Paese di uscire dalla crisi» e ha un impatto sul Pil stimabile attorno all'1 per cento.
Secondo Padoan, «se la giustizia civile non funziona c'è minore concorrenza e minore fluidità nel mercato del lavoro». Non solo, si crea un «circolo vizioso» dal momento che «le imprese hanno meno incentivi a investire perché trovano disincentivi alla loro attività futura» e «una minore concorrenza a parità di regole nei mercati e una minore fluidità del mercato del lavoro». Inoltre ci sono effetti anche sulla disponibilità e sul costo del credito: in Italia, spiega Padoan, esso «può essere di 70 punti base più alto rispetto a Paesi con sistemi più efficienti».
«Il tema della giustizia civile è di primaria attualità nell'agenda del governo», garantisce il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, secondo cui è necessaria «una terapia d'urto per rispondere alla impellente necessità di ridurre gli arretrati nei tribunali e tagliare oltre un milione e 200 mila pratiche arretrate in cinque anni». Risultato che dovrebbe essere ottenuto anche grazie all'inserimento del cosiddetto «decreto del fare» della misura che ripristina la mediazione civile obbligatoria per le controversie riguardanti i diritti disponibili con un più rapido accordo tra le parti attraverso l'intervento di un mediatore professionista. Un istituto, quello della mediazione civile obbligatoria, che era stato introdotto nel 2010 dall'allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano, con un decreto legislativo poi sospeso il 24 ottobre scorso dalla Corte di Cassazione, che ne aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale per eccesso di delega.
Con il nuovo decreto la mediazione civile subirà alcune importanti modifiche: sarà obbligatoria soltanto per alcune materie, escludendo ad esempio le divergenze su responsabilità per danno provocato da circolazione di veicoli; e avrà una durata inferiore rispetto alla prima versione: da quattro a tre mesi.
Sempre limitato l'esborso economico: 40 euro per l'apertura del fascicolo e una «tariffa» compresa tra gli 80 e i 250 euro in caso di risoluzione al primo incontro.
Mediatori civili sono automaticamente tutti gli avvocati iscritti all'ordine, mentre posso esercitare la funzione anche laureati in altre facoltà e iscritti ad albi professionali dopo un
apposito corso di formazione.Un allargamento delle maglie che già nella prima versione del decreto non andava giù ai professionisti della giustizia e che, c'è da giurarci, potrebbe creare problemi anche alla mediazione 2.0.
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