In quella baraonda che è il Pd in cerca di timoniere, non passa giorno che i candidati alla segreteria si si becchino. L’ultima comica diatriba è sul giudizio alla Meloni. «Mica male», dice Bonaccini. «Pessima», ribatte la Schlein. Te pareva: che si fa per la visibilità; e per portare truppe nel proprio campo. Con l’esilarante effetto che proprio ieri, mentre la Schlein ribadiva che «bisogna cambiare tutto, volti e metodo» a correrle in aiuto è scesa in campo Livia Turco. Classe 1955, una entrata in Parlamento che c’era ancora la Ddr e l’Urss e a Sanremo cantavano «Si può dare di più» (1987). Sette, diconsi sette, legislature sul groppone e due volte ministra quando Prodi aveva i capelli scuri (1996 e 2006). Il nuovo che avanza. «Sono l’unica che non ha fatto parte in questi dieci anni del gruppo dirigente», vantava ieri la sua verginità la Schlein. Che però arruola tra i supporters vere navi scuola come appunto la Turco ma anche Bettini, Boccia, Orlando, Franceschini.
Il dito nella piaga la mette Matteo Orfini: «Oggi io vedo Elly e tutti quelli che la sostengono, che con una operazione gattopardesca incredibile invocano la sinistra, riproponendo però la strategia che la sinistra l'ha distrutta in questi anni. Oggi ci ripropongono esattamente la stessa ricetta che ci ha portato al 15%. Dov'è l'innovazione? Dov'è la novità? Dov'è il nuovo? Dov'è la sinistra?». È di là a litigare.
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