Una seduta fiume ha tenuto impegnata a lungo la Camera dei deputati, concentrata nella discussione di un tema che certamente sta molto a cuore ai parlamentari, visto il tempo dedicatogli, ma che poco cambia al resto del Paese.
Un'ordine del giorno presentato dal grillino Luigi Maio ha scatenato un'accesa discussione sulla ristorazione interna alla Camera, una lunga diatriba che ha riguardato ogni possibile aspetto della questione: dalla qualità di quanto servito all'italianità dei prodotti di cui i parlamentari si cibano, dal risparmio all'opportunità di convertire il ristorante in mensa. Una proposta che arriva dai 5 Stelle, che collegialmente mangiano alla mensa dei dipendenti e ammettono di congestionarla: "Facciamo anche un po' di mea culpa".
I pasti dei parlamentari sono evidentemente un tema cruciale per i grillini, che contestano l'assegnazione del servizio mensa a una ditta inglese, presa evidentemente in spregio dei prodotti del made in Italy e parlano di un "problema di sicurezza nazionale". Un'accorata difesa delle cose di casa del deputato Zaccagnini, che lamenta nazionalità e qualità del cibo, rimbrottato da Rocco Buttiglione (Udc), che fa presente come le norme europee non consentano di privilegiare le società italiane, se meno competitive.
La strada scelta a Montecitorio, lo spiega il questore Pdl Gregorio Fontana, è "quella del risparmio". E dunque a garantire le pance piene dei deputati sarà la società che vincerà l'appalto in scadenza il 31 dicembre. Ma sul fatto che alla Camera non si mangi un granché bene il consenso pare superare i confini di partito. Maurizio Bianconi (Pdl) non usa mezzi termini: è un "avvelenatoio".
Le proposte si sprecano.
Il leghista Gianluca Buonanno propone di aprire anche il ristorante, attualmente non sempre al completo, al meno cara self-service. Gian Luigi Giglio (Scelta Civica) più prosaicamente vorrebbe un'interruzione, perché a furia di parlare di mense e catering, al deputato è venuta fame e avrebbe pure da assolvere ad altri "bisogni fisiologici".
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