Sono Draghi e Merkel i veri "piloti" dello spread

L'Europa spinge per un governo Bersani, ma all'Italia ora serve un accordo politico per tagliare la spesa pubblica e ridurre le tasse

Sono Draghi e Merkel  i veri "piloti" dello spread

Italia senza governo, prospettive inesistenti di accordo tra le parti politiche, tutti contro tutti, economia reale al disastro. E lo spread va giù. C'è qualcosa che non torna. Siamo di nuovo di fronte a un grande imbroglio. Di fronte ad una manipolazione del mercato da parte dei poteri forti. Che distrugge la democrazia. Una manipolazione da parte di chi, in Germania, vuole arrivare alle elezioni a settembre con spread bassi, per non passare come chi ha causato le turbolenze dei mercati finanziari negli anni della crisi e che con la minaccia dello spread ha fatto il bello e il cattivo tempo. Una manipolazione da parte di chi non vuole perdere né l'egemonia in Europa, dopo averla bramata per un intero secolo, né la guida del governo del proprio Paese, dopo averne fatti cadere e nascere tanti altri in Europa. Senza badare alla legittimazione democratica. E dopo aver ingerito negli affari di questi ultimi. Altro che il risultato incerto delle elezioni italiane, altro che le battute di Beppe Grillo o di Pierluigi Bersani, altro che le malattie o i processi di Silvio Berlusconi. Altro che il sentiero di risanamento dei conti pubblici e di riforme già segnato dal nostro Paese. Il pilota automatico c'è e come. Ma non quello che ha inteso Mario Draghi giovedì scorso. Il pilota schiaccia o meno l'acceleratore dello spread a suo piacimento. E convenienza.Due pesi e due misure.

Se il debito pubblico italiano veniva declassato nel 2011 era tutta colpa del governo in carica, gli spread schizzavano a livelli febbrili e la speculazione approfittava del piatto ricco dei nostri titoli di Stato. Venerdì Fitch ha tagliato il rating dell'Italia, che è scivolato a BBB+ da A-, con outlook negativo, vale a dire a pochi passi dal livello «spazzatura», ma questo «non influenzerà i mercati» (Jim O'Neill, presidente di Goldman Sachs asset management) e, comunque, «non ci sarà una rapida risalita dello spread, salvo che Grillo o Berlusconi non arrivino a pesare davvero sul governo italiano» (Nouriel Roubini). Il pregiudizio è evidente. E se la causa del downgrade da parte di Fitch è «il risultato poco chiaro delle elezioni italiane del 24-25 febbraio», per il Tesoro «l'incertezza è parte della democrazia».

A dire il vero, il downgrade di Fitch sull'Italia è arrivato anche troppo tardi. E non solo per l'esito delle elezioni. I motivi sono tre: 1) lo stallo post-elettorale; 2) la crescita del Pil prevista a -1,8% nel 2013 (cioè 9 volte superiore a quel -0,2% riportato nella Nota di aggiornamento del Def presentata dal Mario Monti il 20 settembre 2012); 3) il debito che raggiungerà il picco del 130% rispetto al Pil (127,1%).
Quanto al primo punto: è il risultato della turbolenza del dopo elezioni generata dal comportamento ambiguo di Pierluigi Bersani. Cosa dobbiamo ancora aspettare per dare una risposta forte ai mercati? Quale altro insulto vuole ricevere il segretario del Partito Democratico da Beppe Grillo per comportarsi in maniera seria nei confronti di chi le elezioni di fatto le ha vinte, o no, alla stessa maniera della sua formazione? Quanto agli altri 2 punti: sono gli effetti della politica economica sbagliata applicata dal governo Monti, che ha finito per vanificare tutti gli sforzi compiuti dai cittadini. Fitch aveva già declassato l'Italia da AA- ad A+ il 7 ottobre 2011 e da A+ ad A- (2 gradini) il 27 gennaio 2012. Più o meno lo stesso percorso è stato seguito da Moody's. Più cauta, invece, Standard&Poor's che ha confermato: «Indipendentemente dalla composizione del prossimo governo, il consolidamento fiscale non si allontanerà dal suo percorso attuale». Insomma, al contrario di quanto avvenuto nel 2011, i mercati sono tranquilli. Più che il pilota automatico delle riforme (in gran parte fallite) in Italia, sembra esserci in Europa un'attitudine ad attenuare l'irresponsabilità della sinistra. Come c'era un'opposta attitudine a colpire le difficoltà di governo del centrodestra nell'estate 2011.

Oggi l'Italia è in piena crisi istituzionale eppure, dopo qualche giorno di fibrillazione, venerdì la Borsa di Milano ha chiuso a +1,61% e lo spread a 306 punti base. Forse il pilota automatico vuole creare le condizioni per un esecutivo Bersani, che tenga assolutamente fuori il leader della coalizione di centrodestra. Costi quel che costi.

Per tutta la fase iniziale della crisi, il pilota automatico ha avuto un nome solo: Angela Merkel. Che ha usato lo spread per far cadere, nascere o proteggere questo o quell'altro governo. Ricordiamo tutti le telefonate al Colle più alto e, ancor prima, la vendita di titoli del nostro debito pubblico da parte di Deutsche Bank, che ha spinto le istituzioni finanziarie degli altri Stati a fare lo stesso. Risultato: panico sui mercati e aumento della domanda di Bund tedeschi, considerati l'unico bene rifugio in Europa. È stato così che lo spread tra i titoli della Germania e quelli equivalenti emessi dagli altri Paesi europei è aumentato vorticosamente.

Tutto questo è continuato fino al 24 luglio 2012, quando, a seguito di voci sempre più insistenti dell'uscita della Grecia dalla moneta unica, la Bce è dovuta intervenire. Anche in questo caso, ricordiamo tutti l'impegno di Draghi, a fare «tutto il necessario per salvare l'euro». Il compromesso è stato trovato il 6 settembre, quando la Bce ha annunciato il programma di acquisti di titoli di Stato con vita residua fino a 3 anni del debito sovrano dei Paesi sotto attacco speculativo, previa sottoscrizione - ed è questo il punto - di un programma di consolidamento dei conti pubblici e di riforme. Si è creato così un equilibrio, tra Germania e banca centrale, per la governance europea, che ha portato ad un abbassamento degli spread.
Germania e Bce, di fatto, sono le uniche ad avere le redini della situazione nell'eurozona. Ecco il pilota automatico! Tanto più che gli altri strumenti, di competenza di Commissione e Consiglio Ue, per far fronte alla crisi della moneta unica, sono bloccati. Lo stesso dicasi del Meccanismo europeo di stabilità. In altre parole, i nostri governi sembrano non giudicati per quello che fanno sulla base dei loro programmi, ma per come sono accettati o meno dai poteri forti dell'Europa del nord. Agli amici (di sinistra) si dà comprensione, contro i nemici (di centrodestra) si scatenano le bufere. Fino a quando questa sospensione della nostra vita democratica?

Si mettano da parte gli insulti, si confrontino in maniera i programmi dei partiti e si evidenzino di un verde acceso le parti comuni (sulla riduzione della spesa pubblica; del debito; della pressione fiscale; sui costi della politica; sulla riorganizzazione della macchina dello Stato siamo tutti d'accordo) e di un verde più chiaro quelle su cui potrebbe esserci convergenza (legge elettorale, riforma delle istituzioni). Si cominci dai punti in comune per dare un governo e stabilità al Paese. Che ne ha bisogno per dare una risposta alle urla di dolore che vengono dall'economia reale e per mettere in sicurezza i conti pubblici. Perché in un'economia che non cresce il pareggio di bilancio serve a poco. E costa tantissimo, sia in termini finanziari, sia dal punto di vista sociale.

Non possiamo non arrivare uniti e forti alla scadenza del Documento di Economia e Finanza che il Parlamento dovrà approvare entro il 30 aprile. Purché ci sia un governo in carica. Come sempre, al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il compito di far rispettare la Costituzione.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica