Lo sport, la guerra, la fantasia: Ottavio era il grande italiano

È morto a 92 anni, a casa sua, per scompenso cardiaco. Proprio lui che era un ottimo atleta, aveva fatto le Olimpiadi e perfino combattuto in Africa

Lo sport, la guerra, la fantasia: Ottavio era il grande italiano

Ottavio Missoni detto Tai è morto l'altra notte nella sua casa di Sumirago, in provincia di Varese. Ci piace pensare che stia semplicemente dormendo come ha sempre fatto nella sua lunga vita, perfino durante la battaglia di El Alamein, l'ultima notte di ottobre del 1942. «C'era una confusione indescrivibile - raccontava - pim, patapum, fuoco da tutte le parti, la sabbia fusa sotto i piedi, il cielo nero sopra di noi. Per schivare le pallottole mi son sdraiato a terra in una duna e alla fine ho dormito. Verso mattina mi sono avviato in una direzione credendo che lì avrei trovato i nostri.

Infatti c'erano, ma tutti prigionieri dei neozelandesi che hanno subito catturato anche me». Tai era fatto così: un uomo diretto e simpatico che sapeva fare qualsiasi cosa senza darne l'impressione.

La sua storia è un po' quella del nostro Paese che vince anche quando perde perché tutto si basa sull'individuo e sulla capacità di essere singoli in un plurale molto speciale. Nato a Ragusa in Dalmazia l'11 febbraio del 1921 e cresciuto a Zara, di sé diceva: «Sono italiano per caso, la mia città natale adesso si chiama Dubrovnik e fa parte dell'ex Jugoslavia. Al momento dell'annessione nel 1918 mio padre Vittorio ha optato per l'Italia mentre due dei suoi quattro fratelli scelsero il passaporto jugoslavo: ho ancora dei cugini dall'altra parte. Son ben contento della scelta paterna, ma in ogni caso non avrei potuto far molto». Ha quindi ragione chi dice che il caso è il nome di Dio quando vuole agire in incognito perché Missoni è stato il miglior italiano che si possa immaginare, uno che in sé fondeva l'homo unicus del Rinascimento e il grande atleta dei nostri giorni, il creativo capace anche di grandi visioni imprenditoriali e il bon vivant, marito, padre, nonno e amico insostituibile. «Abbiamo perso la nostra roccia ma per fortuna siamo uniti, grazie di partecipare al nostro dolore» dicono in coro i Missoni, come sempre gentili e attenti al resto del mondo. Manca solo Vittorio, il primogenito, scomparso la notte del 4 gennaio scorso in volo da Los Roques a Caracas. Inutile dire che l'angoscia e la sofferenza per questa storia tremenda, han dato un fiero colpo alla fibra eccezionale di Tai. Proprio lui che a soli 16 anni aveva corso i 400 metri piani in 48,8 secondi entrando nel guinness dei primati perché nessun atleta italiano di quell'età ha mai fatto un record del genere, a fine aprile è stato ricoverato per una grave forma di scompenso cardiaco. Ha firmato per tornare a casa.

Pare che passasse le giornate a letto, una cosa impensabile per un atleta al suo livello. «Mi esercito sempre - ci ha raccontato una volta - sono abituato fin da quando ero ragazzo. Prima correvo ed ero bravo, adesso cammino, nuoto e penso soprattutto alla salute del cervello. Ci tengo molto. La vecchiaia è una brutta malattia che si può curare, ma non guarire. Se sei sano può anche essere una bella stagione della vita, peccato duri poco». Nel suo caso è durata 92 splendidi anni e qualche mese d'inferno vero. Ci piace pensare che adesso saprà dov'è Vittorio, ma certo fa male il pensiero che non sia più accanto a Rosita con cui meno di un mese fa ha festeggiato 60 anni di matrimonio. «Ecco l'uomo che sposerò» si è detta lei vedendolo sfilare come portabandiera della nazionale italiana alle Olimpiadi di Londra del '48. Quella sera si sono incontrati sotto la statua di Cupido in Piccadilly Circus e da allora non si sono più lasciati.

Lui raccontava di essere arrivato sesto in finale tanto che il padre, capitano di lungo corso, gli scrisse: «Ti ho visto al cinema e son contento di non essere venuto a seguire i tuoi “moneschi” giochi».

In realtà aveva compiuto un'impresa leggendaria: arrivare alle Olimpiadi dopo quattro anni di prigionia in Africa, non è da tutti. A lui sembrava più importante aver trovato una donna che per tutta la vita avrebbe detto «Il Missoni mi è simpatico». Se gli chiedevi chi era più creativo tra lui e Rosita rispondeva: «Io sono il creativo ma Rosita ha creato me». La signora sa di aver fatto una gran bella creazione, ma in questo momento ha altro a cui pensare.

Certo sarebbe bello sapere se Tai arrivando nelle regioni spirituali della pace abbia mantenuto la promessa di dire «Si Son Mi», l'anagramma del suo cognome creato dal grande enigmista Piero Bartezzaghi con quell'inconfondibile cadenza veneta che non ha perso neppure vivendo per 60 anni nel varesotto.

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