Lo stile di Re Giorgio: «Nascere e vivere in Italia deve ridarci orgoglio»

Lo stile di Re Giorgio: «Nascere e vivere in Italia deve ridarci orgoglio»

Pechino«Sono curioso di vedere come finisce questa storia cinese: il passaggio dal comunismo al capitalismo non è una cosa da poco. In ogni caso la Cina è sotto il controllo del mondo, sono molto più preoccupato per l’Italia». Comincia così un discorso di cui Armani può solo essere orgoglioso perché suona come un disperato grido d’amore e di preoccupazione per l’Italia. Così nel bel mezzo dell’importante evento «One night only in Bejing» organizzato a Pechino per celebrare la sua più che decennale presenza in questo Paese, lo stilista-imprenditore si assume la responsabilità di parlare in prima persona dell’attuale situazione italiana definendola senza giri di parole brutta. «Nel nostro Paese - dice - c’è qualcosa che non torna: dappertutto ci sono indagati, scandali e casini inenarrabili. Quello che sembrava un santo a quanto pare non lo è, siamo devastati dal terremoto e dalla crisi economica, non ci sono più certezze nemmeno intorno al Papa. Insomma si sollevano un po’ le lapidi e non si capisce se tutto ciò dipende da un retaggio del passato lassismo oppure se stiamo prendendo una china pericolosa. È brutto dirlo, ma qualche volta penso che non mi piace l’Italia di oggi, non vorrei ritrovarmi come tanti sotto la doccia alla mattina a chiedermi ma dove vado a vivere?».
Inevitabile domandargli se per caso non stia pensando ad andarsene e lui puntualizza. «Non parlo per me - dichiara - sono ricco, faccio un mestiere bellissimo, sto bene: personalmente non mi posso lamentare. Però m’infastidisce molto che noi italiani non siamo più felici nel nostro magnifico Paese. Vien voglia di far qualcosa per aiutarlo a risollevarsi, bisogna ritrovare l’orgoglio e la felicità di nascere e vivere in Italia». Da dove cominciare? Re Giorgio non ha dubbi: dai giovani che secondo lui hanno ragione di non sopportare lo stato attuale delle cose, ma prima di tutto dovrebbero imparare a lavorare, a fare una lunga gavetta, a essere umili. «Oggi vogliono tutto e subito - tuona - una cosa inammissibile. Il fatto che vivano in casa fino a trent’anni e passa li rende incapaci di assumersi delle responsabilità. Se avessi dei figli sarei durissimo». Qualcuno gli fa timidamente notare che i giovani italiani non trovano lavoro e non possono permettersi il lusso di vivere per conto loro. Apriti cielo. Armani più implacabile della famosa mamma-tigre cinese, dichiara che non ci sono altre possibilità. «Pensate a quel che hanno fatto i cinesi in pochi anni - sostiene - un cambiamento impressionante. L’Europa ha chiesto delle cose e loro hanno saputo darle. I prodotti made in China sono molto migliorati, per esempio fanno ricami bellissimi che costano un quinto rispetto a quelli di Lesage. Un’ora di lavoro qui costa 16 volte meno che in Italia. Ovviamente io in Cina produco poche cose, soprattutto jeans. Per la Giorgio Armani e soprattutto per il Privè continuo a credere nel made in Italy, nella straordinaria qualità delle nostre manifatture».
Si apre quindi una parentesi sull’annosa questione della successione alla guida di un gruppo con oltre 5.700 dipendenti e 12 stabilimenti. In fondo Armani il prossimo 11 luglio compie 78 anni e anche se porta benissimo la sua età sa che i progetti a lunga scadenza non lo vedranno più protagonista. «Sto pensando a una fondazione esterna con un Consiglio d’amministrazione forte che sostenga i miei eredi nel difficile compito di guidare l’azienda» dice prima di dare gli ultimi tocchi alla sfilata. Lo show si conclude con un concerto di Mary J. Blige che tra l’altro dedica la sua straordinaria interpretazione di One degli U2 a Obama. Non è certo per questo che molti dei cinesi presenti abbandonino di corsa la sala senza preoccuparsi della buona educazione.

Pare che a Pechino scatti una specie di coprifuoco: dopo le 22 non si trova un taxi manco a piangere. Sarà vero, ma da noi piuttosto di fare una scortesia a un ospite come Armani e a una grande artista, faremmo il car sharing o l’autostop in abito da sera.

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