Tutti difendono Re Giorgio, Di Pietro sta con le toghe

RomaIl conflitto d'interessi al Quirinale scalda gli animi già provati da ondate di caldo mitologico. E nell'inevitabile bagarre del comunicato, spicca il partito garantista: niente intercettazione se al telefono c'è il presidente della Repubblica. Una posizione rafforzata sia dall'associazione magistrati, che sulle questione fa 0-0 limitandosi a consigliare il silenzio, sia dalle aspre parole dell'unione penalisti che fa notare: «I pm non si arrestano neppure di fronte all'immunità del capo dello Stato!». Tutto previsto. Come le barricate di Di Pietro che, ovviamente, parteggia per gli ex colleghi palermitani. Il leader dell'Idv si schiera, senza se e senza ma, al fianco di quei magistrati palermitani «che stanno accertando la verità sulla trattativa Stato-mafia, un pagina buia che ha visto magistrati del calibro di Falcone e Borsellino perdere la vita, mentre altri trattavano per farla franca».
Da par suo il Guardasigilli Paola Severino, in visita ufficiale a Mosca, si mantiene neutrale facendo notare che l'intervento di Napolitano non è stato a tutela di interessi personali. «Napolitano - aggiunge - ha utilizzato il mezzo più corretto tra quelli previsti dal nostro ordinamento per risolvere i problemi interpretativi della legge sulle intercettazioni quando queste abbiano ad oggetto conversazioni telefoniche del capo dello Stato».
I pro Napolitano si sprecano. L'iniziativa del Quirinale è più che legittima per il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri: «Era giusta la nosta battaglia contro gli eccessi delle intercettazioni». Per il vicesegretario del Pd Enrico Letta: «Farà chiarezza ed eviterà conflitti tra poteri dello Stato». Per il segretario nazionale del Pri Francesco Nucara: «È sempre troppo tardi per affrontare il problema dell'uso perverso delle intercettazioni». E per il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini: «L'iniziativa del presidente della Repubblica è un atto di responsabilità che solo gli analfabeti possono fraintendere». Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, ce l'ha con Ingroia. «Bene ha fatto Napolitano a sollevare il conflitto d'attribuzione nei confronti della Procura di Palermo per il grave comportamento del procuratore aggiunto Antonio Ingroia che continua a violare le regole del vivere civile, per non parlare dei suoi strappi alla Carta costituzionale in materia di riservatezza della comunicazioni». Ma non c'è solo Di Pietro contro Napolitano. Il segretario del Prc Ferrero avverte di «non mettere la sordina alla necessità di far luce sulla trattativa Stato-mafia».
Ma è soprattutto Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ad attaccare il capo dello Stato: «Pensavo che la rabbia mi avesse portato oltre le righe, alcuni giorni fa, chiedendo l'impeachment per Napolitano. Questa mossa inaudita del presidente della Repubblica mi spinge a parlare di un attentato alla Costituzione. La decisione di Napolitano è uno schiaffo a chi spera che questa azione della procura di Palermo possa portare alla verità. Oppure si tratta di una reazione di un uomo disperato». Un fiume di parole che rischia di complicare la situazione.

Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli avverte senza troppo dire: «Troppi interventi fanno male alle indagini e ai processi. Il tema della critica a certi provvedimenti è materia seria e complessa che deve essere discussa».

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