Ustica, la follia dei maxirisarcimenti

L'avvocatura dello Stato decide di impugnare la sentenza che impone di pagare 100 milioni ai parenti delle vittime

Ustica, la follia dei maxirisarcimenti

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Per trovare un paragone che regge, è un po' come se a indagare sull'omicidio di JFK fosse lo sceriffo di uno sperduto paesino di una contea degli States. Allo stesso modo, la verità processuale sul grande mistero del disastro aereo di Ustica non può essere trovata nella sentenza di un giudice onorario, per quanto onesto intellettualmente e animato dalle migliori intenzioni. A maggior ragione se si tratta di intestare una responsabilità civile a otto zeri ai ministeri dei Trasporti e della Difesa ipotizzando scenari che, in sede penale, sono stati ritenuti insussistenti.

L'Avvocatura dello Stato ha per questo deciso di impugnare il dispositivo con cui, nel settembre 2011, il Tribunale civile di Palermo ha condannato i due dicasteri a pagare la bellezza di 100 milioni di euro di risarcimento ai familiari delle 81 vittime del Dc9 inabissatosi al largo della Sicilia il 27 giugno 1980, di cui ieri ricorreva il 33esimo anniversario. Dispositivo che poggia le fondamenta proprio sulla sentenza, emessa nel 2003 dall'avvocato Francesco Batticani, che sposa la tesi - scartata in sede penale - del razzo esplosivo.

In una lettera indirizzata alla presidenza del Consiglio, l'avvocato generale dello Stato contesta la ricostruzione «secondo cui sarebbe abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile» e propone un «ricorso per revocazione» alla Cassazione per cancellare un altro risarcimento da 1,2 milioni a favore dei familiari di tre vittime. D'altronde, nonostante un'attività investigativa durata tre decenni con milioni di pagine giudiziarie passate al setaccio da pm, periti, commissioni d'inchiesta, una parola definitiva sulle cause del disastro non è mai stata data.

Di sicuro c'è che sono stati tutti assolti i generali dell'aeronautica militare additati per traditori e linciati mediaticamente per anni. In origine, fu avanzata l'ipotesi del cedimento strutturale, poi scartata per manifesta infondatezza. Il collegio di esperti internazionali nominato dal giudice Rosario Priore depositò il 23 luglio del 1994 una relazione che batteva la pista di una bomba posizionata nella toilette dell'aereo. Due periti, però, ne presentarono un'altra che non escludeva l'impatto con un missile. E così si è andati avanti fino al 21 giugno 2008 quando la Procura di Roma ha deciso di aprire un nuovo fascicolo dopo le rivelazioni di Cossiga su un improbabile missile «a risonanza e non a impatto» lanciato da un caccia francese.

La matassa da sbrogliare è enorme. E non aiuta il fatto che, ancora oggi, a trent'anni da quei fatti, con cadenza periodica tornano d'attualità capitoli che si erano chiusi perché già chiariti. Come il ritrovamento del Mig libico sui monti della Sila. Stavolta, è uno 007 dell'Aeronautica a sostenere che il caccia della flotta di Gheddafi sarebbe stato abbattuto il giorno stesso del disastro del Dc9, quando in realtà prove documentali e periti oltre a più testimoni oculari hanno detto e dimostrato esser caduto il 18 luglio 1980 e non il 27 giugno.

Per non dire del gup Villoni che nel 2003 demolì l'ipotesi dello «stesso giorno» sostenendo che non c'era alcun legame logico o indiziario tra il Mig e il Dc9 e che, dunque, l'ipotesi di un combattimento aereo era una mera «ricostruzione della vicenda operata dal giudice istruttore».

E a ogni ricorrenza, inclusa questa, purtroppo si torna a parlare di presunte «morti sospette» che in realtà - è stato dimostrato - non lo erano affatto: dai piloti delle Frecce tricolori a Ramstein a chi ha perso la vita in incidenti stradali, dai suicidi agli infartuati. Ma guai a dirlo: per gli iscritti al «partito del missile» chiunque si discosti dal pensiero unico è un depistatore.

(Ha collaborato Simone Di Meo)

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