Un «prendere nota» che somiglia molto ad un «prendere in giro». Può finire così una pomposa, onerosa e quindi anche sostanzialmente inutile conferenza mondiale sul clima, come quella che ha appena sbaraccato a Copenaghen, con la partecipazione dei delegati di 193 Paesi e dopo 12 giorni di tensione e manifestazioni di piazza? Sì, perché «è» finita così. Con un accordicchio. Perché in buona sostanza la singolare formula del «prendere nota», adottata dalla quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici consente una soluzione per rendere operativo l'accordo dell'altra notte senza aver bisogno dell'approvazione formale di tutti i Paesi.
Si tratta di un documento di tre pagine, che fissa come obiettivo un tetto a due gradi del riscaldamento globale rispetto all'era pre-industriale (un aumento maggiore porterebbe, secondo gli esperti, a conseguenze disastrose per il nostro pianeta) e stanzia 30 miliardi di dollari dal 2010 al 2012 e 100 miliardi al 2020, destinati principalmente ai Paesi più poveri e vulnerabili per sostenerli nell'adozione di tecnologie «pulite» per frenare l'impatto del cambiamento climatico.
Per essere ancora più chiari si è preso semplicemente atto dell'accordo (peraltro non condiviso da diversi Paesi) firmato da Stati Uniti, India e Cina, che la Conferenza di Copenaghen ha accettato senza nessuna adesione formale. In pratica, è stato accolto l'invito del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che pur di lasciare con un minimo target la Conferenza, ha sollecitato un'intesa ad ogni costo, anche, parole sue, «imperfetta». Un discorso deludente quello di Obama, che è stato costretto, nonostante le buone intenzioni e i proclami fatti in campagna elettorale da ambientalista convinto, ad anteporre l'interesse nazionale della superpotenza che governa. Non a caso Greenpeace lo ha accusato di aver «tradito lo spirito dello yes we can» e di essere il «killer della Conferenza sull'Ambiente».
Detto questo, in piena notte, dopo un'opposizione durissima da parte di molti Paesi in via di sviluppo (contro l'accordo si sono levate anche le voci delle piccole isole del Pacifico che rischiano di scomparire con l'aumento della temperatura), America Latina e Africa con in testa Venezuela e Sudan (il cui delegato ha accusato gli estensori della bozza del documento finale di «olocausto» e di voler condannare a morte «milioni di persone») si è arrivati alla conclusione di non votare punto per punto, com'è procedura abituale, il documento conclusivo ma di «prenderne formalmente atto». Niente di più e niente di meno che un elaborato soft giusto per giustificare i dodici giorni trascorsi in Danimarca e non tornare tutti a casa con un nulla di fatto.
Altro che «accordo globale e storico», come qualche leader aveva auspicato, per salvare il pianeta dalla crisi climatica. Non per nulla è durissimo il giudizio espresso del direttore esecutivo di Greenpeace, Kumi Naidoo, «Copenaghen è stata la scena di un crimine». Mentre Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, che ha seguito i negoziati, osserva che «la capacità dei Paesi di abbandonare gli egoismi e agire insieme è di gran lunga troppo debole per affrontare i pericoli del cambiamento climatico».
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