Inzaghi usa il marchio di famiglia. Salva la Lazio e urla contro Rossi

La Lazio strappa il pareggio (1-1) contro il Lecce grazie a Simone che non segnava da quattro anni ed era finito fuori rosa

Inzaghi usa il marchio di famiglia. Salva la Lazio e urla contro Rossi

da Roma

Cinquanta metri di corsa, mentre digrigna i denti e rivolge uno sguardo rabbioso verso la panchina. L’immagine finale di Lazio-Lecce è quella di Simone Inzaghi che mette lo scarpino nel traffico dell’area pugliese pochi istanti prima del 90’, salvando almeno per una notte il primato biancoceleste. Ma il suo gol, che arriva dopo un lungo digiuno (l’ultima gioia il 19 settembre 2004, rigore realizzato alla Reggina), riporta improvvisamente alla ribalta la sua situazione di ex epurato all’inizio dell’estate. Inzaghino era finito ai margini del gruppo e viveva da «esiliato» a Formello nel periodo in cui i suoi compagni sudavano in montagna.

La sua vicenda rischiava di finire in tribunale prima che il club lo reintegrasse in rosa alla vigilia dell’esordio stagionale a Cagliari. Ieri sera la sua rivincita, con un gol che tiene aggrappata alla vetta una Lazio non certo bella come in altre occasioni,maanche un po’ sfortunata. Poi quei metri di corsa divorati dopo la prodezza sotto porta e quel volto tirato con lo sguardo fisso verso la panchina. Era Delio Rossi il destinatario di tanto livore? Simone Inzaghi non lo dice, ma quando racconta i motivi di quella corsa la sagoma dell’allenatore appare: «Non ce l’avevo con il tecnico – dice l’attaccante piacentino – ma pensavo di entrare prima e quindi ero arrabbiato. Quella con il Lecce è una partita che potevamo vincere...». Frasi al veleno, che arrivano al condottiero biancoceleste. «Mi fa ridere sentir parlare di gente epurata – la replica di Rossi -. All’epoca furono solo scelte tecniche, io sono capace di tornare indietro. Simone tra l’altro è l’unico attaccante che ho a disposizione in grado di far gol rubando palloni sporchi in area». Inzaghino e la Lazio fanno festa insieme, e comunque il pari sofferto con un Lecce bravo a difendersi e a ripartire, almeno nella prima frazione, ha l’aspetto di un bicchiere mezzo pieno. Beretta, ribattezzato Barnetta da Mourinho, ha il merito di saper dare equilibrio alle sue squadre. Quasi mai in sofferenza, quasi mai senza bussola.

Così, dopo aver sfiorato il colpaccio a San Siro contro l’Inter (solo una rete di Cruz a dieci minuti dalla fine punì i giallorossi), ecco il punto prezioso dell’Olimpico con una prestazione ottima sul piano tattico. I folletti di casa Lazio (Pandev, Zarate e Foggia) per un pomeriggio restano senza gol. E se il macedone appare nervoso, il capocannoniere argentino gioca troppo lontano dalla porta (come è nelle sue caratteristiche di punta di movimento) non garantendo però punti di riferimento in area. La Lazio è confusionaria, meno efficace delle altre partite. Così Delio Rossi, subìto in azione di contropiede il primo gol in casa da Tiribocchi (incornata di testa in anticipo su Siviglia, con Carrizo colpevole di tentare solo una superficiale deviazione), le tenta tutte, finendo il match con quattro attaccanti. E se Benussi sventa abilmente il tiro angolato di Meghni, Kolarov scheggia la traversa su punizione, Foggia ha la mira sbagliata sotto porta, l’assedio laziale viene premiato dall’uomo della provvidenza, Simone Inzaghi.

Amatissimo dalla curva nonostante le scelte estive di Delio Rossi. Dopo 65 minuti da incubo, la Lazio può almeno sorridere. Unica nota stonata, qualche buu razzista della curva rivolto al povero Konan, entrato in campo. Ma l’Olimpico non approva. 

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