«Io, condottiero della Mas adesso guido re e regine»

da Venezia

Ottantotto anni suonati (in luglio) e un'energia da far invidia a un trentenne. Bruno Nogara è la guida più anziana di Venezia. Abbronzato, elegante, espressione «da canaglia» alla Kirk Douglas, da mezzo secolo illustra in diverse lingue (inglese, francese, spagnolo) le attrattive storiche e artistiche a ministri, capi di Stato e personalità. Grande amico di Hugo Pratt, è finito nei suoi fumetti con il nome di Noga Noghi, un eroe come lo è stato lui nella sua rocambolesca vita.
Ci riceve nella sua grande casa affacciata sulla Strada Nuova insieme alla moglie Yoyo, zaratina di vent'anni più giovane conosciuta sui banchi di scuola: lei, studentessa di 16 anni bella da fa girar la testa; lui, maestro di francese di 36, fascinoso e rubacuori. Colpo di fulmine, altare, un figlio e una figlia, belli come il sole pure loro: «Ne ho conosciuti io di personaggi con il mio lavoro - ricorda -. Allora per fare la guida bisognava studiare, mica come oggi. Ero già laureato in lingue straniere e lettere moderne con indirizzo artistico, poi mi sono iscritto a storia ma ho avuto un tumore, così, nel 1958, ho iniziato a fare la guida». Turbo-Bruno ci mostra fotografie, ritagli di giornali, libri e una valanga di ricordi: «Il più simpatico? Be’, il re del Nepal era un tipo interessante, è stato accoppato dal fratello poco dopo che l'ho conosciuto, peccato, mi aveva invitato a trovarlo. Poi sono stato per diversi giorni con Alfonsin, il presidente dell'Argentina. Figurarsi che quando è tornato a Venezia ha chiesto di rivedermi. La Thatcher? Ascoltava con attenzione. Precisa e puntuale. Vuol sapere chi ho visto di recente? La Fabiola del Belgio: intelligentissima, democratica, simpatica. Ha voluto sapere la mia età. Quando le ho detto che avevo quasi 88 anni e che ero un po' stanco, mi ha consigliato di fare il tai chi. Buona idea. No, di aneddoti piccanti non glieli racconto, ho il segreto professionale io. Ogni tanto però mi scoccio con tutti quei cerimoniali, io non sono un fanatico del lavoro. Diceva mio padre: Lavorar fa mal; el mal fa morir; e morir despiase».
Fin qui la seconda parte della vita di Bruno, il bello viene adesso, con la prima. Svela: «Sono nato il 28 luglio 1920 a Venezia. A sei anni ero un marinaretto, un Balilla, un avanguardista, mai fermo». Ci mostra una foto che lo ritrae bambino in divisa, un bel faccino accompagnato dalla scritta: «Nogara Bruno, Balilla della 4ª Centuria, 703ª Legione, decorato al valor civile con la medaglia di bronzo perché con generoso ardire si slanciava in un canale in soccorso si un bambino che stava per annegare». E siamo solo all'inizio: «Ho fatto le magistrali, mi sono iscritto alla facoltà di lingue, poi me ne sono andato via di casa con degli amici, in Albania. Abbiamo raggiunto clandestinamente il 109° battaglione d'assalto di Macerata, eravamo in quattro e ci hanno arruolato. Poi mi hanno mandato in licenza perché mi sono beccato un principio di malaria. Ho voluto partire subito per la Russia ma non me lo hanno permesso, ero sottotenente a Cividale quando arrivò l'8 settembre, ci hanno mollato, non sapevamo cosa fare, allora mi sono vestito da donna perché i tedeschi erano dappertutto. Ho fatto uno scambio, un mulo contro un bel vestito, non dovevo essere poi tanto male perché un tedesco mi ha toccato il culo... ».
E chi lo ferma più: «Sono tornato a Venezia, avevo un impermeabile e sotto nascondevo la Beretta e delle bombe a mano, bisognava essere pronti a tutto». Entra nella X Mas alla Spezia del Comandante Borghese: «Mi sono arruolato nel Battaglione Vega dei Nuotatori Paracadutisti e sono entrato in un gruppo speciale di sabotatori. Andavamo oltre le linee nemiche a colpire. Mi hanno catturato gli inglesi, dovevo essere fucilato, ma la regina Elisabetta sospese tutte le esecuzioni. Sono stato mandato ad Algeri come Pow, Prisoner of war. Era il 1945». Anche il resto è materiale da romanzo: evade rocambolescamente da un campo di prigionia in Algeria e rientro in Italia su un aereo della Raf travestito questa volta da aviatore inglese («ero indeciso se arruolarmi nella Legione straniera o tornare a Venezia»). Torna, gioca a rugby, lavora come sminatore subacqueo per liberare le coste e i porti, da Rimini a Grado, dalle mine messe dai tedeschi e dagli alleati. Un lavoro ad altissimo rischio. «A un certo punto - taglia corto - mi sono scocciato e ho fatto il paracadutista».


Un ultima domanda: come fa a conservarsi così bene? «Mangio pochissimo e lavoro, sole, pioggia, neve e vento. Qualche volta sono un po' stanco e mi scoccio. Sì, va ben, domani le darò le foto per il suo articolo. Vuole sapere a che ora? E che ne so io di quello che farò domani». Diavolo di un uomo...

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