Io ho le prove, ignorate da Pasolini, su chi rovina l’Italia

In un interessante articolo sul Corriere di qualche giorno fa, Pierluigi Battista propone una tesi impervia sul pensiero di Pasolini. Proprio quello che più ha affascinato e che configura tutti i mali generati dal «palazzo». Con un certo coraggio Battista sovverte quella che sembrò la più coraggiosa e profetica verità dell’ultimo Pasolini: «Periodicamente si riaffaccia il celebre verdetto di Pier Paolo Pasolini: “Io so, ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale... che mette insieme i pezzi disorganizzati, e frammentari di un intero, coerente quadro politico”. L’ho dato come luminoso esempio di coraggio civile e di temerarietà culturale, la famosa invettiva del “io so, ma non ho le prove”... un’espressione del peggior Pasolini, l’esaltazione meno sorvegliata dei vizi che hanno devastato la fibra etica del ceto intellettuale italiano: lo schematismo dottrinario e ideologico... La noncuranza per i fatti. Il disinteresse politico e, ciò che è peggio, giuridico per le prove... Il peggior Pasolini. Che va dimenticato, per la disperazione dei suoi troppi epigoni, pessimi allievi di un cattivo maestro». E in effetti da questo pregiudizio pasoliniano deriva, per esempio, la parte peggiore di Tangentopoli e il grottesco processo ad Andreotti. Ancora io ne sono parzialmente vittima con la persecuzione di provocatori che, a ogni mio intervento politico o sulla mafia, mi rimproverano le critiche a Caselli, per riversare i nostri scontri su YouTube, intimandomi di dimettermi da assessore di Milano o da sindaco di Salemi, funzioni che, come molti sanno, io ho affrontato con grande impegno. Ma la ricerca del nemico simbolo è il retaggio di questa falsa esaltazione dell’onestà nella convinzione di essere gli unici buoni e giusti che muove lo squadrismo paragiudiziario dei Di Pietro, dei Travaglio, dei Grillo, questi sì pessimi allievi di Pasolini. Ma non li trovi mai nelle battaglie vere, essi sono particolarmente attratti dal pettegolezzo delle Procure alimentato da magistrati desiderosi di clamore come i Woodcock e i De Magistris, eroi di non si sa quale battaglia se i nemici sono Vittorio Emanuele di Savoia o Clemente Mastella, Fabrizio Corona o la signora Mastella, e magari Lele Mora e Flavia Vento. Certo Pasolini non poteva pensare di alimentare epigoni così ridicoli e patetici. Eppure, il sussiego ce l’hanno tutto, il loro capostipite, Giancarlo Caselli, processando Andreotti ha inteso, finalmente!, processare il palazzo.
Il fatto è che Pasolini, contrariamente a quello che pensa Battista, aveva ragione. E non si capisce perché credeva di non avere le prove. Io le prove le ho. Non so se i colpevoli hanno responsabilità penali individuali, ma so che ce le hanno politiche e culturali. Così, chi arriva a Roma si chiede come sia stato possibile, dopo l’esaltazione dell’Eur (E42), aver distrutto la teca dell’Ara Pacis di Vittorio Ballio Morpurgo del 1938, alterando piazza Augusto Imperatore con un incredibile manufatto fuori scala, che è stato ostinatamente voluto, contro ogni regola e ogni legge (in particolare quella che tutela il patrimonio artistico e architettonico del 1° giugno del 1939, la 1089) da responsabili che hanno nome e cognome: Rutelli, Veltroni, Urbani più sovrintendenti e funzionari, la cui ignoranza, e talvolta malafede, hanno consentito la distruzione di una parte di storia e la costruzione di un orrore.
Qualche giorno fa su questo giornale abbiamo denunciato il tentativo autorizzato di abbattere la villa Liberty in perfette condizioni a Morazzone, vicino a Varese. Episodi come questi, negli ultimi cinquant’anni, hanno caratterizzato amministrazioni comunali e regionali con la complicità o l’indifferenza delle autorità statali, così che l’Italia già ai tempi di Pasolini, e lo si vede nei suoi film, ha perduto almeno il 50 per cento dell’edilizia rurale minore, caratterizzata con una cementificazione così violenta da avere sfigurato anche ciò che resta dell’Italia monumentale, basti pensare al ferro di cavallo a Perugia, al fondale della valle dei Templi ad Agrigento, agli sventramenti di Palermo, alla trasformazione della campagna lombarda, veneta ed emiliana in una serie ininterrotta di capannoni industriali, tutto quello che ci ha rubato l’accesso alle città nelle disordinate e immonde periferie degli ultimi cinquant’anni. E non sono prove queste? Ma Pasolini che era allievo di Roberto Longhi, storico dell’arte, e buon lettore di Cesare Brandi, non avrebbe potuto immaginare l’aggressione al paesaggio che ruba all’Italia anche ciò che il mondo contadino e l’agricoltura avevano preservato.
Oggi in Puglia, in Molise, in Basilicata, in Sicilia e persino alcuni lembi di Toscana gigantesche pale eoliche e impianti fotovoltaici cancellano la coltivazione delle campagne, distruggono muretti a secco, e godono di autorizzazioni e contributi delle Regioni e della Comunità europea. La strada che va da Palermo a Mozia passando per Castellammare del Golfo, descritta da Brandi come una delle più belle del mondo per varietà di paesaggi tra mare e colline è disseminata di centinaia di pale eoliche di cui la magistratura ha, dopo le mie denunce, ravvisato pesanti interessi mafiosi. A Ragusa terre incontaminate vengono cementificate e desertificate per ricoprirle di pannelli solari. I responsabili di questa inaudita violenza hanno un nome e cognome, e le prove sono davanti agli occhi di tutti. Assessori regionali, responsabili dell’Enel, con campagne promozionali per gli investimenti nella cosiddetta «energia pulita», si dichiarano spavaldamente responsabili. Il presidente della Repubblica, garante della Costituzione dimentica, davanti a questo orrore denunciato da Italia Nostra, dagli Amici della Terra, da Alberto Asor Rosa, di richiamare l’articolo 9 della Costituzione che proclama la difesa del patrimonio monumentale e del paesaggio. Intanto in ogni aeroporto, stazione, nelle pagine dei giornali, l’Enel pubblicizza Green Power mostrando campi di grano seminati, a margine dei quali, come piantine di gerani, fioriscono pale eoliche molto al di sotto della scala reale, per evidente consapevolezza del crimine compiuto con la complicità dello Stato, delle Regioni, dei Comuni, e con i contributi e le agevolazioni dell’Europa. La distruzione del paesaggio più ancora che quella delle città è davanti agli occhi di tutti, ed è una prova alta 150 metri per ogni pala, soprattutto se è vista in relazione a poveri edifici rurali alti pochi metri e dominati da questi falli che violentano inermi e bellissime colline e memorie della civiltà contadina. Inutili gli studi di Pasolini, inutile il richiamo ai dialetti, inutili le ricerche di antropologi, etnologi come Giuseppe Pitré, Ernesto De Martino, Antonino Uccello, tutto inutile: occorre sfigurare non soltanto le città ma anche la campagna e persino il mare con l’eolico off shore. Nulla è rimasto intentato. E quali altre prove ci occorrono? E quali altre responsabilità, dichiarate alla luce del sole dobbiamo ricercare? E la politica, non diversamente dai tempi di Andreotti, si mostra complice. In questi giorni i manifesti per le primarie del Partito democratico a Roma, nei mesi scorsi i manifesti elettorali proprio di Antonio Di Pietro, esaltandosi al richiamo di energie alternative riproducono, in perfetta malafede, come innocui piante le pale eoliche indicate come programma politico. Ciò discende, e Pasolini lo aveva perfettamente previsto, dalla crescente ignoranza e dalla incultura delle classi dirigenti la cui insensibilità, la cui esaltazione per l’ovvio sono molto più gravi della corruzione personale.
La magistratura pugliese insegue le protesi di Tarantini acquistate dagli ospedali convenzionati e ignora la devastazione dei parchi eolici nel Foggiano e nel Barese, la mancanza di sensibilità e la condiscendenza ai luoghi comuni caratterizzano una classe dirigente che distrugge la civiltà contadina e le coltivazioni tradizionali nella più assoluta consapevolezza così come lascia in abbandono edifici storici e architetture rurali. Le «magnifiche sorti e progressive» che, anche a Milano con la controversa esaltazione per l’Expo, caratterizzano l’edilizia contemporanea affidata ad archistar senza rispetto e senza memoria. Occorre perdere identità, inebriarsi in un insensato «sviluppo sostenibile». Ne abbiamo avuto un esempio persino nelle immagini, non so se di progetti o di aree realizzate a La Maddalena. Le cooperative del prima e del dopo, nell’esaltazione di una pulizia asettica e ospedaliera, inducono a rimpiangere il prima. Qualunque cascina o edificio di archeologia industriale in rovina ha più vita di grattacieli e architetture modulari uguali in ogni area industrializzata della Terra. Ma perché si viene a visitare Noto o Palazzolo Acreide o Salemi o Volterra o Pienza o San Gimignano o Spoleto.

Per vedere palazzi o grattacieli o pale eoliche o per ritrovare centri urbani medievali, rinascimentali o barocchi? Certo Di Pietro e Grillo non ne sono consapevoli e se qualcuno lavora per salvare la memoria loro lo tormentano chiedendogli di dimettersi per poter avere dei bravi amministratori che dicano e pensino tutti le stesse cose senza accorgersi che l’Italia di Pasolini, l’ultima Italia contadina viene loro sottratta in nome di niente, cancellando frasi di monumenti e paesaggi. Ecco le prove, sono tutte davanti a noi. E i responsabili sono rei confessi. Battista si può tranquillizzare. Pasolini aveva visto giusto e oggi potrebbe scrivere: «Io so, e ho le prove».

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