«Io, Lippi, vi racconto Franco il profeta del nuovo ciclismo»

«Non si possono sbagliare le mosse. E non ho nemmeno le amichevoli per provare...»

Chi meglio di Marcello Lippi, campione del mondo in Germania, può parlare di Franco Ballerini che per il terzo anno consecutivo ha portato al successo un azzurro nella gara iridata di ciclismo? Da ct a ct, quasi un discorso in famiglia, e non solo per le comuni origini toscane: l’uno di Viareggio, l’altro di Firenze. Gli piace talmente l’argomento che, pur di rispondere a qualche domanda sul collega, interrompe i lavori a un convegno in programma ieri a Verona.
«Neanche a farlo apposta, ho sentito Franco pochi minuti fa al telefono. Siamo amici da tanto tempo e spesso ci confrontiamo sui problemi in comune. Per molti versi ci somigliamo. Gli ho fatto i complimenti per il successo di Alessandro Ballan e soprattutto per il modo con cui ha gestito la corsa dal giorno delle convocazioni a quello della gara».
Vale a dire…
«Ballerini ha avuto il grande merito di fare del ciclismo uno sport di squadra. Nel calcio è la ricetta di ogni giorno, non basta un campione per vincere un campionato o una coppa. Nel ciclismo lo scenario è diverso perché si tratta di uno sport individuale, e alla fine il secondo è solo il primo dei battuti. Vallo a far capire, però. Lui c’è riuscito interpretando in modo moderno il ruolo di commissario tecnico».
Nel suo libro scritto con Rosa Alberoni lei ha esaltato il concetto di gruppo. Ballerini s’è comportato allo stesso modo?
«Giusto. E per questo mi piace. Franco è riuscito a far capire ai suoi uomini l’importanza di raggiungere il successo indipendentemente dalle ambizioni individuali. E, prima ancora, ha convocato i corridori giusti, quelli che a suo modo di vedere avrebbero fatto squadra e rispettato le consegne. Anche a costo di sacrificare qualche pezzo grosso. Di questi equilibri spesso non si rendono conto quei tifosi, ma ci metto dentro anche gli addetti ai lavori, che si chiedono perché un ct ha fatto scelte apparentemente incomprensibili, perché ha portato l’uno e lasciato a casa l’altro».
Cosa ha pensato guardando la corsa?
«Da quel poco che ho visto fra una partita e l’altra di calcio, mi sono reso conto che gli azzurri hanno dominato il Mondiale perché hanno imbastito un vero e proprio gioco di squadra. Avete visto come ha esultato Bettini quando ha saputo della vittoria del compagno? Il successo arriva sempre da lontano, da un progetto. Io ci ho messo due anni a preparare la Nazionale che poi avrebbe conquistato il Mondiale. Ora spero di ripetermi con l’aiuto di una maggiore esperienza».
Come dire che un ct non può lasciare niente al caso, ma deve prevedere ogni mossa come in una partita di scacchi…
«Se Ballan ha vinto, lo deve non solo al suo stato di grazia, ma anche all’intuizione del tecnico che l’ha visto in grandi condizioni, ha creduto in lui e ne ha fatto l’alternativa a Bettini».
Ballerini come Lippi, insomma…
«Direi anche con una responsabilità maggiore. Perché il ct del ciclismo, a differenza di chi guida una nazionale di calcio, gioca una partita soltanto all’anno e non ha la possibilità di rifarsi. E’ cambiato il modo di lavorare.

E Franco sotto questo punto di vista è un modello. Non basta più il mestiere, ci vogliono altre prerogative. Se non hai la capacità di capire i tuoi uomini e di motivarli, puoi sapere tutto di tecnica, ma non arriverai da nessuna parte. Se poi non hai carisma…».

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