Roberto Fabbri
I risultati delle elezioni iraniane (due le consultazioni: rinnovo dei consigli comunali e dellAssemblea degli Esperti, che serve a scegliere leventuale successore della Guida Suprema, layatollah Khamenei) continuano ad arrivare con il contagocce, suscitando le accese critiche e i sospetti dei candidati riformisti contrapposti ai sostenitori del presidente integralista Mahmud Ahmadinejad. Ma ciononostante, con il passare delle ore appare sempre più evidente che proprio questultimo è il vero perdente delle votazioni di venerdì.
Non a caso, sebbene i risultati appaiano chiari e si siano presentati alle urne oltre 28 milioni di iraniani, Ahmadinejad ha sentito il bisogno di respingere «la tesi occidentale» secondo cui le elezioni hanno rappresentato un test per la sua popolarità, il primo che la democrazia islamica ha reso disponibile da quando è stato eletto presidente nel 2005. «Sono solo frasi vuote della stampa straniera per minare la solidarietà nazionale», ha detto a denti stretti il presidente in una conferenza-stampa.
Sarà, ma i dati disponibili sembrano smentirlo nettamente. Nella capitale Teheran, dove disponeva di addirittura 14 dei 15 seggi del consiglio cittadino, il movimento di Ahmadinejad «Il buon odore del servizio» guidato dalla sorella del presidente Parvine sarebbe crollato a 3 o 4 al massimo, cedendo la maggioranza a conservatori più moderati vicini al sindaco uscente Qalibaf e incassando lo smacco del ritorno in consiglio, con 2 o 3 seggi, dei suoi avversari riformisti. La stampa vicina a questi ultimi sostiene che in base ai risultati disponibili «la sconfitta della lista di Ahmadinejad appare definitiva in tutto lIran».
Proprio per questo gli avversari politici del presidente (il cui principale mentore, layatollah ultrafondamentalista Mesbah-Yazdi, è noto per aver detto che «il potere viene da Dio e non dagli elettori») temono che il ritardo nella diffusione dei dati elettorali nasconda il tentativo di brogli su larga scala. E la minoranza riformista in Parlamento è arrivata a chiedere le dimissioni del ministro dellInterno Mostafa Pour-Mohammadi, contestato per il suo «silenzio ambiguo».
Chi certamente si sta fregando le mani è Akbar Hashemi Rafsanjani, lex presidente centrista che a 72 anni conosce una rivincita politica sbaragliando i suoi avversari ultraconservatori.
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