Israele oggi alle urne: decisivo il voto dei russi

Un venti per cento d’indecisi, un venti per cento di russi e quasi un vento per cento d’arabi. L’impossibile pronostico sull’odierno voto israeliano è tutto nascosto in quelle percentuali. Il venti per cento russo è la vera cassaforte di voti d’Avigdor Lieberman, il controverso ex buttafuori d’origini moldave trasformato dalla guerra di Gaza e dall’apatia della campagna elettorale nell’astro nascente della politica israeliana. Il vero catalizzatore del suo successo è però quella componente araba protagonista, durante l’operazione Piombo fuso, di tante dimostrazioni segnate da slogan anti ebraici e dai colori di Hamas.
Gli indecisi, materia opaca di tutti i sondaggi, sono infine i veri aghi da bilancia, decisivi per assegnare la vittoria a un Likud di Bibi Netanyahu fermo a venticinque seggi o a Kadima il partito della signora Tzipi Livni risalito, secondo le ultimissime previsioni, a due punti dall’avversario. Comunque vada le difficoltà incominceranno tra 24 ore quando Tzipi o Bibi dovranno fare i conti con le richieste dell’intrattabile Avigdor. La sola certezza di questo appuntamento elettorale è infatti la meteorica ascesa di Yisrael Beitenu (Israele la nostra casa) il partito che secondo tutti i sondaggi strapperà al Labour di Ehud Barak la palma di terzo partito del paese. In quella “nostra casa” e nei programmi del suo leader si nascondono le incognite di una politica israeliana sempre più piegata a destra e sempre più a rischio di collisione con le politiche di un alleato americano guidato da Barack Obama .
Odiato dagli ortodossi per la sua greve laicità, accusato di razzismo dalla sinistra laburista, temuto da Bibi e dalla Tzipi per la rissosità che l’ha portato a rompere ogni precedente alleanza, il cinquantenne Avigdor Lieberman è senza dubbio il volto nuovo di questa stagione elettorale. I modi risoluti, le frasi a effetto, il pesante accento l’hanno inevitabilmente trasformato nel politico più in sintonia con l’emigrazione russa. Iniziò a stupire nel 2002 proponendo, come rappresaglia per ogni attentato, il bombardamento di un centro commerciale palestinese. Continuò nel 2003 quando reagì alla liberazione di trecentocinquante prigionieri palestinesi dichiarando che sarebbe stato meglio affogarli nel mar Morto. Proseguì nel 2006 dicendosi convinto della necessità di passar per le armi i deputati arabo-israeliani sorpresi a incontrare esponenti di Hamas o di Hezbollah.
Da lì a trasformarsi nel politico di riferimento per una comunità innamorata degli uomini forti il passo è stato breve. Le battaglie in nome degli esuli russi guardati con sospetto dai rabbini per le loro spesso dubbie origini ebraiche hanno determinato un inevitabile rottura con gli ultraortodossi. Sospettato di razzismo per un remoto e breve passato nelle file del Movimento Kach, Lieberman ha dovuto rispondere alle accuse di ateismo per aver proposto l’introduzione del matrimonio civile e la sospensione dei privilegi che consentono agli ultrareligiosi di scansare il servizio di leva.
Il progetto più controverso del suo programma resta però legato alla proposta di trasferire all’Autorità palestinese i territori dello Stato israeliano dove si addensa la componente araba e di annettere in cambio le principali colonie della Cisgiordania. Quel piano bollato come “deportazione forzata” dai suoi avversari è strettamente legato alla proposta di imporre a tutti i cittadini israeliani un giuramento di fedeltà allo Stato israeliano. Chi rifiuterà quell’impegno formale potrà continuare a risiedere nello Stato ebraico, ma perderà la possibilità di votare e ogni altro diritto civile.

Quel giuramento, nella visione di Lieberman, sarà la vera cartina di tornasole capace di garantire l’individuazione di spie e rinnegati annidati nel grembo d’Israele e sempre pronti, a suo dire, a sfruttarne le garanzie democratiche per complottare con il nemico.

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