Un’italiana nell’inferno di fango: «Adesso temiamo le epidemie»

La cooperante Silvia Facchinello a Rangoon: «Città intere non esistono più, la capitale è in ginocchio»

«La situazione nell’ex capitale Rangoon è grave: le vie di comunicazione sono interrotte. Dappertutto tronchi e macerie. La più grande città della Birmania è senza energia elettrica ed acqua potabile. Le linee telefoniche non funzionano», dall’ex Birmania devastata, Silvia Facchinello riesce a comunicare a fatica. Una telefonata, qualche miracolosa mail. Trentadue anni, originaria di Bassano del Grappa è una veterana del Sud-Est Asiatico: due anni per progetti umanitari in Cambogia ed uno nell’ex Birmania, come responsabile del Cesvi, una delle più attive Ong italiane.
«La popolazione usa l’acqua dei fiumi contaminati a causa del ciclone e delle carcasse di animali. Così aumentano i rischi di epidemie» racconta l’italiana di Rangoon al quartier generale del Cesvi a Bergamo. Il numero di vittime aumenta di ora in ora. «Un villaggio è stato completamente spazzato via dal ciclone. Dei 4.000 abitanti 3.600 sono dispersi. Speriamo siano scappati prima dell’arrivo del ciclone». «Laputta è la città più colpita in assoluto con aree completamente allagate ed inaccessibili. Il porto è gravemente danneggiato e anche le barche del’Undp, (l’Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite, nda) sono state distrutte o affondate». Secondo fonti locali, non confermate, solo a Laputta sarebbero morte 60mila persone. «Anche l’ambasciata italiana è stata danneggiata. – racconta la responsabile del Cesvi -. Nonostante questo il personale è stato tempestivo nel gestire l’emergenza e nelle comunicazioni alle famiglie dei connazionali».
Ora il Cesvi, che opera nell’ex Birmania dal 2001, sta organizzando un intervento di emergenza. Nella province più colpite di Bago e del delta dell’Irrawaddy verranno distribuite pastiglie disinfettanti per l’acqua, utensili, kit igienico-sanitari e allestiti rifugi temporanei.

«L’allarme non ha funzionato: né per la popolazione, né per le Ong – denuncia la volontaria italiana -. Il percorso del ciclone doveva puntare verso le province del Nord, ma poi ha deviato verso Sud. Nessuno ne era al corrente e quindi nessuno ha potuto prepararsi all’emergenza».

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