Juve-Fiorentina, la partita che valeva una querela

C’era Ranieri sulla panchina viola quando Del Piero, con uno straordinario colpo da biliardo, fulminò Toldo e permise alla Juventus di sorpassare la Fiorentina che al 73’ conduceva per 2-0 a Torino. Era il 4 dicembre 1994. Quel gol segnò l’ascesa di Del Piero fra le stelle del calcio mondiale. Mancava Roby Baggio, che al ritorno non ci pensò due volte a calciare il rigore contro la sua ex squadra: del genere «nostalgia non più canaglia». Fu proprio il trasferimento del Divin Codino in bianconero a scatenare a Firenze una rivolta di piazza alla vigilia di Italia ’90 con tanto di scontri, feriti e intervento della polizia in assetto da guerriglia. Ma niente fece recedere la famiglia Pontello, prossima a passare la mano a Mario e Vittorio Cecchi Gori, dalla decisione di cedere uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi alla nemica storica per eccellenza: la Juventus di Boniperti. In cambio 11 miliardi e Buso. Indovinate un po’ chi fece l’affare. Per una curiosa coincidenza Baggio disputò le ultime due gare in viola contro la sua nuova squadra nella doppia finale di coppa Uefa 1989-’90. Da quel momento le partite fra i due club divennero scontri ad alta tensione.
Ad accendere la miccia, che aveva bisogno solo di essere innescata per deflagrare, fu il conte Flavio Pontello il giorno prima della partita che valeva lo scudetto 1982-’83. Il padrone della Fiorentina ne disse di tutti i colori su Boniperti: «È facile gestire una società con i soldi degli altri. È solo un impiegato degli Agnelli. Io sì che rischio di mio». Il presidente bianconero si prese la rivincita conquistando a fine stagione il suo ennesimo campionato con un punto di vantaggio sui rivali. Per inciso quell’incontro, disputato a Campo di Marte e diretto da Casarin, finì 0-0. Fra gli «inviati» de Il Giornale Giovanni Arpino e Indro Montanelli, tifosi eccellenti su sponde opposte.
Ancora uno sgarbo l’anno successivo, in calce la firma illustre di Zeffirelli. L’Amburgo aveva appena battuto a sorpresa la Juventus di Boniek e Platini, Tardelli e Bettega, Zoff e Rossi, nella finale di coppa dei Campioni, giocata ad Atene e decisa da un tiro di Magath. E lui, proprio al nostro giornale, parlò di «giustizia divina». Nei giorni seguenti calcò a tal punto lo stiletto nella ferita bianconera che si beccò (e perse) una querela da parte di Boniperti.
Per tornare ai giorni nostri hanno fatto discutere le ultime due sfide svoltesi a Firenze. Nella penultima un ciuffo d’erba deviò sul palo una conclusione di Toni destinata in porta: sarebbe stato il 2-1 per i gigliati. Qualche minuto dopo l’arbitro Messina non punì un calcio di Thuram a Toni in piena area e Camoranesi regalò il successo ai suoi sfruttando un errore di Pancaro.
L’ultima, che risale al girone d’andata di questo campionato, è rimasta negli archivi per gli errori di Rizzoli. Il promettente fischietto bolognese convalidò il gol di Iaquinta nonostante il fuorigioco di Trezeguet e non punì con il rigore un fallo evidente su Semioli. Per inciso, è stata l’unica gara in cui la Juve ha avuto una mano dagli arbitri. Per il resto un conflitto continuo.
Ed eccoci a oggi, con entrambe le squadre a caccia di un posto in Champions. In classifica un gap di 4 punti. Sulla panca bianconera c’è Ranieri, che ha avuto il merito di portare subito in alto la sua squadra nonostante lo scarso apporto dei nuovi arrivati. È il tallone d’Achille della nuova Juventus. Impossibile fare la guerra all’Inter e rincorrere lo scudetto sbagliando in blocco gli acquisti e investendo male 40 milioni di euro.

Dall’altra Prandelli insegue da due anni la vittoria contro una grande: ci riuscisse a Torino, porterebbe la Fiorentina a una lunghezza dai rivali e dal terzo posto. Il grande assente è Mutu, ceduto per un pugno di milioni dalla Juve alla Fiorentina all’indomani di Calciopoli: il percorso inverso di Baggio. È la legge del contrappasso.

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