L’amore per Giulio è già "tremontato"

Fino all’altro ieri, per la sinistra il ministro era l’uomo ideale per cacciare il Cav. Oggi tutti vogliono la sua testa

Roma - Il candidato ideale, rigoroso, sobrio, apprezzato in Europa, quello che «non ci ha fatto fare la fine della Grecia». Ma il miracolo è svanito, il salvatore della patria traslochi, non solo dalla casa in prestito, proprio dal ministero dell’Economia. Chi chiede le dimissioni di Tremonti lo voleva a Palazzo Chigi una manciata di mesi fa, o anche meno. Quanto piaceva il fiscalista di Sondrio, un innamoramento collettivo quando si puntava su di lui per rimuovere il premier. Luna di miele interrotta bruscamente, i cuori dell’opposizione sono mobili, un giorno battono per il governo tecnico (Monti, prima Draghi), l’altro per un esecutivo di coesione o responsabilità nazionale (Casini, Fini), un altro per un mandato alla Lega, poi addirittura per Alfano o Schifani, purché convincano Silvio B. a sloggiare.

Quello per Tremonti però non sembrava un fuoco di paglia, i supporter erano di quelli pesanti. Il Pd ha fatto outing direttamente col suo segretario Pier Luigi Bersani, secondo il quale l’ipotesi di un governo di transizione guidato dall’attuale ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, era «un’evenienza più sensata di un confronto elettorale con un meccanismo come questo». Cioè meglio Tremonti che le elezioni.

Quasi più tremontiano di Bersani è stato Enrico Letta, uno dei responsabili economici del Pd. Lui che aveva considerato «una boccata di ossigeno» l’agenda del ministro spiegata al Corriere della Sera dieci mesi fa, non ha mai fatto mistero di ritenere Tremonti più che adeguato per guidare un governo di transizione, «tra le diverse personalità importanti che potrebbero svolgere il compito e Tremonti è sicuramente tra queste» spiegò Letta.

Anche l’Udc di Casini, che ora chiede a Tremonti di dimettersi perché «prende in giro gli italiani», lo spronava a prendere le redini della maggioranza perché «ma non c’è dubbio che il ministro dell’Economia - notava il vice presidente dei deputati, Gian Luca Galletti - sia fra coloro che meglio di chiunque altro conoscono la difficile realtà dei conti e la complessa situazione economico-internazionale».

Incredibile a dirsi, ma anche i finiani hanno spinto per una soluzione Tremonti, per quanto filo leghista sia. Italo Bocchino, il più finiano dei finiani, era convinto a febbraio che «Tremonti può essere il soggetto politico per la transizione», anche se «non penso possa essere leader per il futuro, non lo vedo ad arringare masse, viene da una cultura tecnica». Certo, era in una rosa piuttosto amplia: «Ci sono soggetti che possono guidare percorsi ed esercitare funzioni, tra questi ci sono Fini, Casini e Tremonti da una parte, ma ci sono anche uomini di sinistra che hanno da dire e da dare, Veltroni uno di questi». Confusione totale. Più sicuro il suo allora vice, Benedetto della Vedova: «Ho avuto molte occasioni di apprezzarne il valore e di confrontarmi con lui anche su cose sulle quali non ero affatto d’accordo. Dire che Tremonti non sarebbe un ottimo premier sarebbe un azzardo. Verso di lui non c’è alcuna ostilità pregiudiziale ovviamente parliamo di ipotesi futuribili».

Del resto era stato lo stesso Fini, in un faccia a faccia con Umberto Bossi a novembre, nel pieno della rottura con Berlusconi, a mettere sul tavolo il nome di Tremonti (da lui attaccato più volte per i tagli lineari), come premier sostitutivo dell’attuale, e gradito a Futuro e libertà. Ma fu il capo leghista a stoppare subito come «irricevibile» la proposta del presidente della Camera. Massimo D’Alema invece ha rimproverato una cosa a Tremonti: «Non aver fatto Tremonti».

Il ministro «ha tenuto a freno la finanza creativa che tanti danni ha fatto», ma poteva fare anche di meglio, essendo Tremonti. Detto da Baffino, un complimento come pochi. Un innamoramento collettivo, ma tremontato in un batter d’occhio.

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