«È l’anno della svolta: Washington e Teheran troveranno l’intesa»

Kamran Bokhari, analista della Stratfor, centro studi americano considerato l’ombra della Cia, non ha dubbi: accordo inevitabile

«Non ci sono dubbi: Usa e Iran troveranno un accordo politico. E il 2007 verrà ricordato come l'anno della svolta, l'inizio di un percorso che potrà portare nel lungo periodo alla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi». Kamran Bokhari parla al telefono con la grinta e la convinzione tipiche degli analisti dei think tank statunitensi. Ma la sua non è una voce tra le tante, perché Bokhari lavora per Stratfor, il centro studi considerato l'ombra della Cia.
Perché voi della Stratfor siete persuasi che l'accordo sia inevitabile?
«Perché siamo in una situazione di stallo; soprattutto in Irak. Gli americani si rendono conto di non poter recuperare il Paese senza il consenso di Teheran; gli iraniani hanno capito che Washington non abbandonerà la regione e pertanto non potranno ottenere una vittoria completa».
Oggi però gli Usa appaiono in una posizione negoziale debole…
«È vero, ma le ultime decisioni prese da Bush mirano a ribaltare questa percezione. Quando boccia il piano Baker, annuncia l'invio di altri ventimila soldati a Bagdad e vara un piano per imbrigliare le milizie estremiste sciite in Irak, la Casa Bianca lancia un messaggio preciso agli iraniani. Dimostra che l'attuale situazione può essere rovesciata, nonostante quasi quattro anni di attentati. Lo scopo finale non è di riconquistare l'Irak, ma di avviare un dialogo con Teheran su basi più forti».
Ma l'annunciata caccia alle brigate del leader sciita Moqtada Al Sadr non rischia di far precipitare la situazione?
«No, perché le altre fazioni sciite irachene vogliono limitare il potere destabilizzante di queste milizie e appoggiano l'America. Idem, ovviamente, i sunniti. È in corso una partita a scacchi. Gli iraniani sono stati scaltri nel 2006: hanno dimostrato che la morte di Zarqawi era ininfluente e hanno rifiutato la trattativa con gli Usa, speculando che, dopo la sconfitta dei repubblicani al Congresso, l'esercito statunitense si sarebbe ritirato. Ora capiscono l’errore e devono decidere: rischiare la paralisi con gli Usa o cambiare linea per evitare di sprecare quanto ottenuto finora? Non sono affatto stupidi e opteranno per la seconda opzione».
Eppure a Washington i democratici osteggiano i piani di Bush...
«Il loro obiettivo è di indebolire i repubblicani in vista delle elezioni del 2008 e dunque rendono la vita dura a Bush. Ma al contempo sanno che lasciare l'Irak equivarrebbe a una vittoria di Al Qaida e degli estremisti, che sarebbero incoraggiati a esportare la violenza in altre parti del mondo. In cuor loro sanno che questo piano è nell'interesse del Paese e alla fine lo appoggeranno».
Considerati i gravi errori commessi da Bush negli ultimi anni c'è però da chiedersi se un piano del genere possa funzionare...
«L'amministrazione sta rettificano la sua linea politica, con ripercussioni in tutto il Medio Oriente. Sono stati commessi errori in passato? Certo, ma ora tutti guardano al futuro. E Condoleezza Rice è riuscita a cementare l'alleanza con i principali Paesi sunniti della regione. Ora l'esigenza è di arginare l'Iran. E gli arabi sono con noi».
Teheran ha due grandi nemici: Israele e l'Arabia saudita. È possibile un'alleanza tra questi due Paesi?
«Contatti segreti sono già in corso. Israele sarebbe pronta a uscire allo scoperto, ma Riad non può permetterselo perché la società saudita non capirebbe. Si proseguirà su questa strada: cooperazione informale senza annunci pubblici».
È verosimile l'ipotesi di un raid israeliano?
«No, perché la situazione politica interna è caotica e, soprattutto, perché gli israeliani sono rassicurati dall'atteggiamento degli americani e degli arabi. Gerusalemme non ha fretta, ma certo non rinuncerà a esercitare pressioni; si spiegano così le notizie su possibili raid fatte filtrare ad arte sulla stampa europea».
Ma come la mettiamo con il nucleare?
«A Teheran il quadro politico sta cambiando. I radicali hanno perso le elezioni amministrative e quelle del consiglio dei saggi. Il presidente iraniano Ahmadinejahd è sempre più criticato, mentre leader pragmatici come Rafsanjani guadagnano influenza e dunque anche la questione nucleare sarà gestita in modo diverso».
E se il piano fallisce?
«Non può fallire.

Gli iraniani vogliono stabilizzare l'Irak e contare di più nella regione; gli Usa vogliono mantenere l'influenza nel Golfo. Gli uni possono bloccare gli altri, reciprocamente. L'accordo è nell'interesse di entrambi».
marcello.foa@ilgiornale.it

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