L’Atalanta fatta in casa adesso si sente un piccolo Barcellona

Come si rilancia l'impaludato calcio italiano? C'è una risposta fissa e unanimemente condivisa, che ascoltiamo regolarmente nei dibattiti televisivi, nei vertici di Lega, nelle riunioni federali, nei convegni universitari, persino nelle assemblee condominiali: bisogna importare meno stranieri e puntare sui nostri vivai. Grandi e piccoli club, tutti sono pronti a sposare la causa: diamine, bisogna puntare sui vivai. Difatti, la domenica scendono in campo squadre con otto, dieci, undici stranieri. Ragazzi del vivaio? Dopo la Primavera, è subito inverno.
Voglio essere onesto e premettere che sono di parte, perché bergamasco e perché atalantino: così, tanto per una pura questione di trasparenza. Ma proprio perché sono così di parte, ancora di più mi sento orglioso e felice per questo iniziale miracolo nerazzurro. Non solo e non tanto per i punti presi, ma per come ce li siamo presi. Sì, al di là del clima genericamente elogiativo sulla solita squadra rivelazione (sempre, ovunque, ce n'è una), questo miracolo Atalanta va titolato doppiamente in grande perché finalmente realizza nella pratica il tanto sbandierato tema nazionale, questo sarchiapone di cui tutti parlano e nessuno sa bene cos'è: il rilancio tramite vivai.
Eccolo qui, il modello concreto, il nostro piccolo Barcellona: nelle prime giornate, l'Atalanta ha sempre giocato con cinque-sei undicesimi fatti in casa. Il portiere Consigli, i difensori Bellini e Capelli, il centrocampista Padoin, i gioiellini d'attacco Bonaventura (occhio, è fortissimo) e Gabbiadini. In panchina abbiamo pure Raimondi e in infermeria il ragazzino Minotti, ma facciamo pure finta di niente perchè bene o male qualunque società italiana ha in panchina o in tribuna qualche prodotto del vivaio. Il problema italiano è passare dalle chiacchiere ai fatti, cioè puntarci davvero, sui prodotti del vivaio. E in questo sta tutta l'eccezionalità del momento: è proprio il vivaio dell'Atalanta a tenere in piedi il miracolo dell'Atalanta. Hanno varie età e varia caratura, non tutti sono Messi e non tutti sono Bonaventura: Consigli domenica s'è preso un gol da pollastro, il ragazzino Gabbiadini s'è fatto prendere dal panico dell'esordio, ma questo non importa. L'Atalanta va ed è fatta dagli atalantini, questo a noi piace e di questo bisogna parlare. Abbiamo pure due stranieri e mezzo (Denis e Moralez, più Schelotto che però ormai è italianizzato), ma tutti converranno sull'equità dell'innesto esotico. L'ossatura, lo zoccolo duro, il nucleo della squadra è tutto di casa. Li scelgono da piccoli, li crescono, li mandano in qualche club minore per lo svezzamento, quindi li nominano titolari. Talmente elementare, che non dovrebbe costituire un evento. Invece, in questo calcio italiano smarrito e inquieto, rappresenta il modello eccezionale. Cinque-sei undicesimi tutte le domeniche: in serie A non esistono paragoni. Con un dettaglio niente affatto trascurabile: è anche un modello che funziona benissimo.
Certo, lo sappiamo noi per primi: l'Atalanta presto tornerà a perdere e a fare una fatica dannata per salvarsi, com'è nel suo Dna. Ma non cambia nulla. Niente e nessuno, tanto meno una sconfitta, può scalfire la sua inimitabile fama di Barcellona mignon.

Nel bene e nel male, noi continueremo a produrci in proprio la squadra. Dev'essere una vocazione orobica: ultimamente siamo arrivati al punto di prelevare dal vivaio persino il presidente. Sì, pure Percassi esce dalle giovanili dell'Atalanta. Significa qualcosa.

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