L’eredità salata di Prodi: un debito di 42 milioni

nostro inviato a Scandiano (Reggio Emilia)

Più che eredità «contese», Romano Prodi ne ha lasciate di «costose». Ma da uomo democratico, da buon padre di famiglia, le ha ripartite tra noi tutti, senza fare distinzioni o preferenze: dalla Sme al carrozzone Iri, dalla Cirio donata all'amico Carlo De Benedetti all'Alfa Romeo divenuta cadeau per l'avvocato Agnelli. Un piccolo pezzo a testa. Un piccolo pezzo pagato da ognuno di noi.
Ma «serenamente e pacatamente», come ama intercalare lui.
È tuttavia a un ben altro avverbio - «dolorosamente» - che bisogna ricorrere per raccontare dell'eredità che il professore ha lasciato alle 24.700 incolpevoli anime del comune di Scandiano, poco fuori Reggio Emilia, dove lui ebbe i natali il 3 ottobre 1932, in frazione San Ruffino. Ha fatto credere loro che avrebbero ricevuto quasi in dono quello che da sempre era stato il grande sogno mai realizzato della piccola comunità: la splendida Rocca dei Boiardo che dal 1262 domina e sembra quasi proteggere il paese.
«Peccato però che le gravose condizioni poste per concedere quell'eredità siano state decise in gran segreto e tenute ben nascoste fino a quando è stato possibile dai suoi due più convinti promotori, ovvero Prodi e l'ex sindaco pidiessino Angelo Giovannetti, uno che ha sempre avuto la debolezza di voler passare alla storia», ironizza Fabio Ferrari, capogruppo in consiglio comunale per la Lega Nord.
Racconta così, Ferrari, di come gli scandianesi, in cambio della malaugurata idea di insignire Prodi della cittadinanza onoraria del loro splendido borgo (ci vivono quasi tutti i numerosi fratelli e sorelle del professore), si siano visti arrivare in lascito qualcosa che ha finito per far lacrimare i loro portafogli.
«È stata una fregatura mostruosa», conferma e sintetizza Anselmo Bassi, irrefrenabile settantaduenne animatore della lista civica Scandiano Democratica, ma con un passato di assessore del centrosinistra per diciassette anni. «Appena giunta notizia da Roma della modifica ad hoc apportata alla Finanziaria 2007, il sindaco Giovannetti diede il via all'iter», aggiunge Fabio Filippini, capogruppo del Pdl in consiglio comunale.
A far male è - ma soprattutto sarà - l'affitto cinquantennale della Rocca, a un canone annuo di 60mila euro (a essere pignoli 59.185 euro la prima rata), gravato però dall'aggiornamento Istat annuale del 100%. Canone che nel contratto qualcuno ha avuto il coraggio di definire «agevolato» e che, stando a chi sa far di calcolo, porterà in mezzo secolo la spesa complessiva del solo affitto a oltre 23 milioni. Cinquant'anni di locazione al termine della quale la Rocca tornerà per colmo della beffa di proprietà del Demanio.
Ma non è ancora tutto: a quei 23 milioni ne vanno infatti aggiunti altri 19 per lavori di manutenzione e restauro. Lavori e spesa da spalmarsi - mai verbo fu più ipocrita e meno appropriato, considerata l'abrasività della cifra - sull'arco di un decennio. Lavori coperti in parte con la vendita delle azioni della società energetica Enia - «3,9 milioni la prima tranche», precisa Filippini - in parte con la vendita di immobili e terreni comunali e il restante attraverso l'accensione di mutui. Con perdipiù la quasi certezza di una lievitazione dei costi. «Quei 19 milioni diventeranno una trentina - prevede Bassi -. Le coop sono specialiste».
I dettagli di quel contratto capestro che indebiterà pro-quota, già fin dal primo vagito, ogni neonato scandianese per i prossimi cinquant'anni, sono emersi nel maggio 2008, alla caduta dell'ultimo governo Prodi, venendo meno anche le sue «difese immunitarie». Portando così alla luce la magagna di quella sciagurata modifica alla Finanziaria 2007 e diventata carta che canta con l'atto di concessione firmato il 16 ottobre 2007. Operazione che oltre all'allora presidente del Consiglio e al già citato ex sindaco Giovannetti, ha avuto come co-protagonista la direttrice dell'Agenzia del Demanio, l'architetto Elisabetta Spitz.
La ben relazionata moglie del transfuga a sinistra ed ex «casiniano» (nel senso di Pierferdi) Marco Follini, era stata nominata a quell'incarico nell'aprile 2006 dall'allora ministro Vincenzo Visco al modico compenso di 650mila euro lordi annui.
È tuttavia inutile cercare traccia di indignazione giornalistica - nella sconfinata memoria di Internet - per quello scandaloso affitto che graverà per mezzo secolo su Scandiano. Sui giornali della grande e democratica stampa che il 3 ottobre ha protestato in piazza contro una supposta censura imposta dall'alto, perfino su quei fogli che avevano un loro sedulo inviato giorno e notte al seguito di Prodi, di questa storia non si cava fuori un rigo di riprovazione. Soltanto qualche articolo, ma entusiastico e osannante, in cui si parla di «grande giorno» per Scandiano, si citano i 19 milioni per i restauri, ma ci si dimentica dell'aggiornamento annuo Istat al 100% che renderà ben più che oneroso il cinquantennale contratto d'affitto.
Appaiono, quelle cronache, sulla Gazzetta di Reggio, testata locale - quando si dice il caso - del debenettiano gruppo Repubblica-L'Espresso.


A chi invece si domandasse, legittimamente, come mai una simile, prolungata e pesante gabella non abbia provocato tra la popolazione di Scandiano la benché minima richiesta di pubblico dibattito, di referendum, per non dire di una sollevazione popolare, la risposta la dà lo scandianese Bassi. «Cosa volete, hanno rovinato due generazioni - spiega l'Adelmo - narcotizzando questa gente al punto di toglierle la capacità di decidere se prima non ha sentito la “Mamma”. Ovvero il partito».

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